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R Recensione

5/10

Not To Reason Why

The Book Of Hours

Che il post-rock sia ancora ben lontano dallo smettere di assediare le menti di nuovi musicisti è cosa assodata. La questione che si pone è in quale misura le novelle band ritengono di poter contribuire creativamente a mantenere in vita un genere che si trascina avanti avendo esaurito la propria spinta propulsiva già da lunghissimi anni. In molti tuttavia hanno creduto di poter ravvivare quel fuoco dal quale sono scaturite ben poche abbacinanti scintille ma seguite poi da molte zone d'ombra. Anche i Not To Reason Why, evidentemente, hanno ritenuto di  saper affrontare questo cimento, forti di una preparazione tecnica di grande livello e di un buono spirito di (re)interpretazione. Oltre alle consuete sequenze che vedono subentrare a chitarre ariosamente arpeggiate, altre chitarre in modalità deflagrante e che, as usual, arrivano proprio al momento esatto (ossia quello più prevedibile come prescritto dal "Manuale del Bravo Post-Rocker"), sostenute da quelle ritmiche che i primi Mogwai hanno insegnato a stuoli di seguaci, un ruolo centrale è riservato al pianoforte, suonato dalla brava Lauren Haile con un gusto tanto per la classica contemporanea quanto per certe colonne sonore di introspettivi film d'essai. Non si può certo affermare che i californiani Not To Reason Why ce l'abbiano fatta a scardinare le regole del gioco, ammesso che questo sia mai stato il loro intento.  Gli esiti prodotti dai tre lunghi brani (Good Morning, Good Afternoon, Good Night) si assestano sin troppo su quei cliché che forse potevano anche regalarci qualche sussulto fino ad un decennio fa, ma che oggi, seppur le composizioni siano davvero molto curate, non riescono a uscire dai solchi più profondi lasciati dai capiscuola Mogwai, Sigur Rós, Explosions In The Sky o anche dall’aura di band più “nascoste” come Red SparowesRachel’s (almeno per l’uso del piano) e The Evpatoria Report, senza mai raggiungerne i vertici. Però davvero diventa difficile mantenere un po’ di serenità d’animo quando al terzo minuto di Good Afternoon il piano inizia a tratteggiare le stesse identiche note di Untitled 3 dei Sigur Rós. Per dirlo con grande semplicità, la musica contenuta nell’album non è priva emotività. È priva di personalità.

Sono certo che molti degli stoici appassionati del genere (in tal senso ho degli amici irriducibili), troveranno,  nonostante tutto, motivo di grande godimento nell’ascolto di “The Book Of Hours”.

Ma è ovvio che il “sol dell’avvenire” splende altrove.

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