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R Recensione

7/10

Paolo Spaccamonti - Stefano Pilia

Frammenti - Stand Behind The Man Behind The Wire

Guitar hero, eh? Per piacere. Non parlatemene nemmeno. Due paroline bisillabiche che bastano a far odiare, all’istante, tutto il mondo della musica. Guitar hero è la passione che si trasforma in masturbazione, la tecnica che si sublima nel solipsismo. Non per niente, in terra d’Albione, “hero” è “a person of superhuman qualities and often semidivine origin, in particular one of those whose exploits and dealings with the gods were the subject of Ancient Greek myths and legends” (lo dice l’Oxford English Dictionary, non un Marco Biasio qualsiasi). Quindi l’”eroe della chitarra” sarebbe chi possiede skills così straordinari da trascendere la sua essenza umana in divina? Uno straordinario Ulisse dei tempi moderni? E se il postino che mi infila il Time nella cassetta ogni mercoledì fosse un guitar hero, da cosa lo si riconoscerebbe? E gli piacerebbe farsi chiamare guitar hero? A me proprio no. E vi dico di più: credo nemmeno a Stefano Pilia e Paolo Spaccamonti. Che pure, beninteso, ne avrebbero tutto il diritto e anche di più, l’uno duellando in tenzoni di originalità con Egle Sommacal e dividendo il palco con gente a caso (tipo, che ne so, Mike Watt, o Rokia Traorè), l’altro scrivendo dischi di sola chitarra strumentale, entrando in liason creativa – e sia mai che da cosa nasca cosa… – con l’incredibile Julia Kent e demolendo i palchi di mezza Italia con il santino dei Sabbath nascosto nell’ancia del baritono di Luca Mai.

Insomma, quindi, due… come li vogliamo chiamare? Artigiani della chitarra? Bene. Non scomodiamo superpoteri o superpresentazioni, che spesso portano a super-responsabilità. Anche perché questi due, zitti zitti, sornioni sornioni, pur sommersi da una lista di impegni lunga quanto l’ultima requisitoria di Ilda Boccassini, hanno trovato il tempo di rinchiudersi in uno studio e smezzare il risultato delle loro fatiche in uno split, trecento copie in vinile – esteticamente ineccepibili – uscite per i tipi di Escape From Today e Brigadisco. Cinque brani per Pilia (“Stand Behind The Man Behind The Wire”) due+uno per Spaccamonti (“Frammenti”). A Fabio concedo la gioia della seconda analisi. Che dire, invece, dell’altra facciata? Delizia per le orecchie sarebbe troppo ovvio. Allora parafrasiamo: se un chitarrista è bravo, lo è bravo sempre, in ogni contesto, con ogni approccio. Potevamo intuire che Pilia fosse uno di quei “bravi sempre” ma, per fugare ogni dubbio, risponde lui stesso in prima persona. E risponde con due brani di fingerpicking acustico (“Stand Behind The Men Behind The Wire” ha il sapore dell’elegia folk, “R. Tune” la malinconia brumosa di una colonna sonora vedderiana), due piaghe che ondeggiano tra fuzz spinto, noise ambientale e cacofonia decostruttiva (“Flux In A Box” è un singhiozzare deforme di coscienza, “Too Much Fun” una caramella al bromuro che il Lou Reed dei tempi andati ingoiava a manciate) e un autentico saggio di bravura, l’isolazionismo minimale di “The Machine In The Ghost”, immobile criogenesi di note che sembrano persino sfuggire ai loro stessi droni. Impressione, ovviamente, confermata.

In almeno una occasione, credo di aver usato l'espressione “guitar-hero” per descrivere il musicista Paolo Spaccamonti. Excusatio non petita, aggiungo ora che il riferimento non era certo agli onanismi di uno Steve Vai o agli assoli strappa-tendini (e straccia-maroni) di un Yngwie Malmsteen. E magari un giorno vi racconterò di quella volta (decenni or sono) in cui un seccato Joe Satriani mi rifiutò un autografo “per non compromettere le articolazioni della mano”. Ma “eroico” può definirsi il modo in cui Paolo Spaccamonti affronta la musica: coraggioso nel proporre tanta nudità compositiva chiuso nella sua cameretta, e persino spavaldo nel suo coinvolgere il mondo intero (Julia Kent, recentemente Ben Chasny dei Six Organs of Admittance) uscendo da quella cameretta con la chitarra in mano. In questa occasione il compare non è poi così distante (uno che ha partecipato ad alcune delle pagine più importanti della musica indipendente italiana), ma l'incontro è davvero interessante: se Pilia “esce dal gruppo” e si rifugia in solitarie digressioni acustico/introspettive, Spaccamonti “allarga” quella dimensione privata alla ricerca di soluzioni nuove.

Nell'arco di tre soli brani riviviamo tutto lo Spaccamonti-pensiero, dalle essenziali reiterazioni post di “Non Lacrimare” al ricco rincorrersi ritmico di “Fuga” (splendida l'incursione della tromba di Ramon Moro in mezzo al dedalo di chitarre), fino alle tentazioni “internazionali” (il pezzo è stato composto da Julia Kent) di “Carapace”, perfettamente bilanciato tra i suoni eleganti dell'e-bow e le ormai note chitarre in loop.

Compratelo subito, che è il disco è in edizione limitata. I due protagonisti poi, sono merce rarissima.

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