V Video

R Recensione

7/10

Sigur Rós

Kveikur

E’ passato appena un anno dall’uscita di “Valtari” e i Sigur Rós ci riprovano. Li avevamo lasciati nel tentativo di dare un senso a un album altrimenti non propriamente entusiasmante con il “Valtari Mystery Film Experiment”, il pregevole esperimento di mecenatismo multimediale applicato all’arte dei video per la musica (sono arrivato a contare 16 video ufficiali per i brani dall’album in questione) e li ritroviamo oggi con una nuova formazione a 3 (il tastierista Kjartan “Kjarri” Sveinsson ha preso altre strade), nuova etichetta (da una major, la Parlophone, ad una etichetta indipendente, la XL) e un nuovo album che segna, comunque la pensiate, un nuovo inizio.

La situazione stava per complicarsi. La bolla emotiva fatta di ammirazione e autosuggestione costruita attorno al gruppo più famoso d’Islanda stava forse per scoppiare in modo irreversibile. I fan della prima ora, letteralmente travolti dal fascino e dalla potenza delle iniziali, dirompenti, produzioni targate Sigur Rós stavano per abbandonare definitivamente il cerchio magico che dalle glaciali terre artiche era arrivato ad unire in un unico abbraccio persone e personalità dai più disparati angoli del pianeta, tanto nei salotti buoni quanto nelle bettole fatiscenti.

Il fascino ed il magnetismo del gruppo erano dunque nella fase calante della loro parabola e le strade da intraprendere erano a questo punto solo due. Continuare caparbiamente sulla stessa onda emotiva di “Valtari”, radunando ai concerti orde di invasati di bianco vestiti vaneggianti catartiche esperienze extrasensoriali e la pace nel mondo, oppure provare nuovamente ad imbracciare gli strumenti nel tentativo di trasmettere energia che sporca, perché per quanto post-uno possa essere, il rock deve pur sempre risvegliare una parte dura e maledetta.

La scelta, sebbene non netta, è stata nella seconda via e “Kveikur” è effettivamente l’album più duro o molto banalmente “rock” della carriera dei Sigur Rós. Non si può certo dire che sia un album rivoluzionario, né nei confronti del rock né tantomeno nei confronti del loro particolare modo di essere artisti nel mondo della musica. Niente lascia gridare al miracolo e nessuno credo mai arriverà a dire che l’album sia un capolavoro ma è innegabile che finalmente la commistione tra algide atmosfere surreali (date ora principalmente dalla inconfondibile voce di Jónsi e dal ritmo, quasi sempre lento e marziale) e suoni fisici, palpabili e accattivanti, faccia riscoprire interesse per la loro proposta musicale. La prima testimonianza  di questo cambiamento è la traccia d’apertura nonché primo singolo lanciato tre mesi prima dell’uscita ufficiale del disco. “Brennisteinn” è una cavalcata poderosa di quasi otto minuti introdotta da strepitii di distorsioni di basso spernacchiante e chitarra-cartavetro guidati dall'esplosivo timpano/cassa della batteria che dà la sveglia al beato sonno di “Valtari”. Verso la metà del brano l’atmosfera si fa nuovamente silenziosa e purificatrice, ma è solo un sorbetto per il cambio di ritmo che accelera verso orizzonti luminosi e finalmente freschi come un sorriso e non più freddi come la noia. Un po’ come quando la domenica mattina ti entrava in stanza tua madre per svegliarti, bruscamente, dall’infinita dormita del sabato notte adoperando il rumore e la luce del (pieno) giorno. Tapparella.

L’altro singolo dell’album, anch’esso uscito prima del rilascio ufficiale dell’album è “Isjaki. E qui i tre islandesi vanno addirittura oltre proponendo quello che potrebbe benissimo essere scambiato per uno dei pezzi più tristi dei Foals, se solo non fosse uno dei pezzi più solari dei Sigur Rós, e ciò a dispetto del video, che di solare ha ben poco. Un tuffo in sonorità dal forte accento pop, cosa a dire il vero non del tutto nuova nella loro carriera se avete ancora nelle orecchie il ronzio della leggerezza di “Með Suð Í Eyrum Við Spilum Endalaust”. Nello stesso filone concettuale rientrano pure “Stormur” e “Rafstraumur”, che se, mutatis mutandis, l’avessero fatte i Muse, nessuno se ne sarebbe accorto.

Se però i Sigur Rós che vi piacciono sono quelli di “Valtari”, la qual cosa non può essere categoricamente esclusa, troverete in “Hrafntinna” e soprattutto nella conclusiva “Var due momenti di struggente e malinconico trasporto che, se inseriti in contesti come questo “Kveikur”, dove i viaggi dei tre hanno un inizio ma per fortuna pure una fine, fanno proprio una bella figura.

Kveikur”, la title track, è una marcia industrial dalla velleità epica e dal rumoreggiamento ipnotico. È un pezzo sicuramente molto efficace, che sarà perfetto quando sarà chiamato a radunare le ultime forze delle maestranze sul palcoscenico mentre chiudono uno dei concerti della sterminata lista di date in Europa e Americhe, da poco annunciate, per la prossima estate e non solo. Nessuno infatti mi toglierà dalla testa che quest’album sia un “prodotto” fatto (apposta) per richiamare le masse ai concerti del World Tour 2013, fatto per risvegliare bollori sopiti, fatto per ciurlare in territori di sicuro e più immediato appeal. Fatto per liberare un’energia che c’è sempre stata nei Sigur Rós ma che il ruolo di gruppo culto (visitare la loro pagina Facebook per saggiare il livello estremo di fanatismo dei followers), con le annesse auto-inibizioni per quello che si sa fare meglio accantonato per la volontà di brancolare “solitari” nell’iperuranio della musica, ha spesso smorzato più del dovuto.

Una furbata insomma, ma di buon livello. E se chiedere è ancora lecito, chiediamo di continuare in questa direzione. Se i Sigur Rós saranno dei cortesi galantuomini, solo il prossimo e a questo punto atteso capitolo potrà dirlo.

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Voto degli utenti: 7,3/10 in media su 12 voti.
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mavri 7,5/10
creep 7/10
Senzanome 7,5/10
Vatar 8/10

C Commenti

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mavri (ha votato 7,5 questo disco) alle 10:50 del 21 giugno 2013 ha scritto:

Se dovevamo attendere l'addio di Kjarri per rivedere i nostri vecchi Sigur Ros ben venga, non una opera maestra ma almeno la direzione è quella giusta...

benoitbrisefer (ha votato 7 questo disco) alle 13:04 del 23 giugno 2013 ha scritto:

Ok. Perfettamente d'accordo con quanto detto. Non un capolavoro, ma la consapevolezza di qualcosa doveva cambiare e quello a cui erano arrivati era un binario morto. Dove ci porteranno questi sviluppi vedremo.....

zagor alle 14:58 del 23 giugno 2013 ha scritto:

mai apprezzati più di tanto.

hotstone alle 10:38 del 26 giugno 2013 ha scritto:

E' proprio vero, il tempo domina su tutto ....Può cambiare le cose renderle più splendendi, meravigliose, ma può sporcarle, cambiarle, ferirle e addirittura ucciderle... E il tempo in questo caso ha proprio ucciso questa band . Non riesco più a digerirli.. I sigur ros per me si sono fermati a Ágætis byrjun, secondo il mio parere il miglior album

NathanAdler77 (ha votato 7 questo disco) alle 0:41 del 23 luglio 2013 ha scritto:

E finalmente (ri)esplose il geyser. “Brennisteinn” resta un notevole schiaffone wave\industrial a chi li reputava da anni puro e stantio esercizio calligrafico (tra cui il sottoscritto). Da trio Jònsi e soci hanno saputo reinventarsi con lucidità ed equilibrio senza perdere un grammo del loro trademark sonoro, riplasmato nell’epica pop-rock di "Isjaki", al crocevia con gli Arcade Fire più anthemici ("Rafstraumur") e nelle possenti trame melodiche del brano omonimo. Mai così ispirati dai tempi di “Takk”.

REBBY alle 2:15 del 3 agosto 2013 ha scritto:

Non ho ancora potuto ascoltare questo album ( ma quando tornerò a casa lo farò sicuramente), ma il concerto che ho vissuto qualche giorno fa in piazza Napoleone a Lucca ha mostrato una rock band in grandissima forma, generosa e davvero molto ispirata. Nonostante l'acustica non perfetta ( forse ero troppo vicino alle casse eheh) ho notato con piacere che tutto il pubblico ha come me apprezzato le 2 ore abbondanti di autentico spettacolo, ribadisco, rock.