The Notwist
Neon Golden
È desolante ritrovarsi in un motel dopo aver viaggiato per dieci ore filate, dopo aver visto incidenti stradali e motorini sdraiati sull’asflato con un casco che giace ancora sotto il guard-rail. Eppure un viaggio così lungo non offre soltanto brutte storie di cruda realtà perché può aprirci gli occhi sulla bellezza dei panorami autostradali, spesso dimenticati perché irrimediabilmente violati da quella lunga autostrada. Un disco dei Notwist è simile a queste sensazioni, ce le fa rivivere, le immortala e le propone con solerzia, non senza un tocco di disillusione. “Neon Golden” è il penultimo lavoro della band tedesca, se eccettuiamo la colonna sonora per il film “Storm”, pubblicato l’anno scorso. “Neon Golden” è forse il lavoro elettronico più maturo dei Notwist, un’elettronica che non fa a meno del tipico post-rock germanico ma che si contagia benignamente grazie agli strumenti classici come il violoncello suonato da Sebastian Hess, il clarinetto di Ullrich Wangenheim o il sassofono di Johannes Enders.
Il disco comincia sulla profonda riflessione di “One Step Inside Doesn’t Mean You Understand”, una canzone che ci riporta a quel motel di cui parlavamo, metafora di un viaggio che si è fatto fuga dal mondo e dagli amori impossibili. D’altronde, i Notwist riscaldano subito l’ambiente con “Pilot”, un brano che riesce a farci battere il piede e che ha certamente portato la band a farsi conoscere oltreoceano. Ma è con “Pick Up the Phone” che abbiamo l’apice del talento intimista di “Neon Golden”, una traccia capace di smuovere gli animi più gelidi, non attraverso la speranza bensì grazie allo squallore di una stanza senza porte, la stanza dei ricordi andati a farsi friggere, la stanza del passato che non passa; la stessa stanza è riproposta con diversi umori e in toni più o meno drammatici in “Trashing Days” e in “This Room”, due brani tanto coinvolgenti da trasportare l’ascoltatore in questo maledetto motel di infima categoria. Il lato A del disco finisce qui.
Dopo che il sound si è fatto sperimentale con innesti di elettronica letfield e con splendidi inserti di basso doppio e pianoforte, i Notwist aprono la facciata B del disco con “Solitaire”, una canzone sulla caducità della felicità e, se la vita non è altro che un’accozzaglia casuale di persone incontrate e volgari idee, come può essa regalare serenità eterna e coerenza? La risposta sta nel simpatico ticchettio di “One With The Freaks” ed ancor più nell’oscuro presagio della title-track: poche parole argentate, ossidate, ripetute, che ricordano ai pochi interessati che la verità ultima sta nel cercare la luce, non quella divina, bensì il bagliore dei semplici vecchi neon. E la poesia dell’esistenza diventa dunque una banale e ruvida elegia del mondo post-moderno. Con “Off the Rails” la band dei fratelli Acher continua il suo viaggio che, da automobilistico, diventa ferroviario, un treno che corre su binari morti e storti, i binari dell’incomprensione. Il disco termina magnificamente nel caldo e toccante epilogo di “Consequence”: non c’è più nulla da chiedere se non lasciarsi sprofondare nell’assenza di domande, sperando che l’amore bussi alla porta del nostro motel.
I Notwist ci hanno regalato, con “Neon Golden”, un album di grande spessore musicale e di intensa carica emotiva, disegnando senza troppi colori – quelli delle macchine digitali e delle chitarre – alcuni spiazzanti paesaggi dell’anima, per portarci via alla fine anche quelle poche certezze che fino a quaranta minuti prima ci garantivano la tranquillità.
Tweet