The Twilight Sad
Forget The Night Ahead
Nuovo lavoro per il quartetto di Glasgow, su etichetta Fat Cat, ormai quasi una garanzia, a due anni di distanza dal debutto Fourteen Autumns & Fifteen Winters; rispetto a compagni di etichetta illustri come Frightened Rabbit e We Were Promised Jetpacks, però, i Twilight Sad hanno decisamente una marcia in più, evidenziando qui un'indubbia capacità di scrivere grandi canzoni, non più appesantite dagli inutili orpelli shoegaze dell'opera prima.
L'apertura è bruciante: "Reflection of the Television" mette subito in bella mostra il wall of sound chitarristico, mentre su un incedere marziale, fra echi e riverberi, un caratteristico accento scozzese (diretto erede di quello di Aidan Moffat) ripete "there's people downstairs". Se possibile, la traccia successiva mette ancora più a fuoco le coordinate dell'opera: new wave, certo, con un occhio di riguardo ai Joy Division e senza perdere di vista la sensibilità pop già intravista in canzoni come "That Summer at Home I Had Become the Invisible Boy" sul primo disco. I mid-tempo sono decisamente la specialità del gruppo, come dimostrato anche dall'ottima "Seven Years of Letters" e dalla quasi-ballata "Made to Disappear", anch'essa fra i migliori brani della raccolta.
CI si aspetterebbe un calo, fisiologico, verrebbe da dire: e invece, dopo l'intermezzo di Scissors, francamente evitabile, sorprende per intensità il crescendo di "The Room", dove è evidente la lezione dei Mogwai, brano peraltro già presente, in una versione diversa, sulla compilation "The Twilight Sad Killed My Parents and Hit the Road". "Floorboards Under the Bed" allevia almeno in parte la nostalgia per gli Arab Strap, mentre "Interrupted" mostra il lato più convenzionale, ma non per questo meno interessante, dei quattro scozzesi, dove è ancora il romanticismo del tutto particolare del cantante Graham a farla da padrone ("You and I / will bury them all").
I testi, vaghi e allusivi, si combinano perfettamente con il mood malinconico e cupo dell'opera, fra racconti di infanzie spezzate e nascondigli segreti, mentre un'aura di tristezza e rabbia aleggia per l'intera opera, potenziando ancora di più l'ottimo lavoro della precisa sezione ritmica di Orzel e Devine; si perdona così anche qualche passaggio meno convincente ("On the way to Bordeaux / You'll never have some honest fun") e qualche brano forse non all'altezza del resto come la conclusiva, spoglia "At the Burnside".
Insomma, se si chiedeva a questi ragazzi una conferma, è arrivata: e considerarli ancora alla stregua di una qualsiasi band del filone new-wave/shoegaze come dei Glasvegas qualsiasi, o peggio, sarebbe davvero fare un torto a loro e a questo "Forget the Night Ahead".
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