Odawas
Raven And The White Night
Secondo album per il trio di Bloomington, Indiana. Raven And The White Night svelanove pezzi indolentemente fluttuanti, scuri ed atmosferici, che si muovono su beat lenti e trascinati e godono di lunghi ed evocativi strumentali.
Si tratta di post rock in qualche forma evoluta, darkblueseggiante ed ambientale, quasi colonna sonora badalamentiana a volte, ed altre propenso a consistenti frequentazioni psichedeliche.
Così è quando Mike Tapscott intona le sue scarne melodie sospese con appeal sydbarrettiano, sognante tra epica e malinconia, ma anche quando si stagliano sui riverberi l’armonica di The Ice, o l’hammond cruciale di Getting To Another Plane. Alleluja invece sguaina un tema fischiettato da Morricone nello spazio profondo, mentre Barnacles And Rustic Debrismanifesta attitudini ad un folk dopato che suggeriscono devozione a papà Neil Young.
La tavolozza espressiva predilige chitarre dallo stanco incedere ritmico oppure blandamente arpeggiate, corruschi e ondeggianti archi virtuali e brevi frasi di un pianoforte sobrio e cristallino.
Il drumming scorre morbido, tendenzialmente climatico e distante. Qua e là occhieggia l’elettronica, che domina nell’inopinata Love Is…, ma è per il resto trattata coloristicamente, con garbo e definizione. L’esecuzione è viva, partecipata, ricca di dinamica, sensibile a sfumature e chiaroscuri.
Paesaggi perduti, si potrebbero definire, litanie e ricordi vissuti accasciati sul divano dopo l’ennesima canna tardoadolescenziale, qui ripercorsi con gusto sopraffino ed arte appassionata.
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