Robert Wyatt
The End of an Ear
È il capolavoro di Wyatt. Las Vegas Tango, Pt. 1 apre il disco con una nenia velocizzata, con una linea melodica che potrebbe essere un qualsiasi motivetto che ognuno può inventare sotto la doccia, un po' casuale, che insiste, si stravolge, inciampa su se stesso, si eleva, tra echi, voci che si sovrappongono, un piano free e una batteria che lega il tutto. Il risultato è di un'omogeneità unica. Termina un fischietta che gioca col l'eco, il rallentatore e il nastro al contrario. Poi dal caos leggero prende forma un lieve jazz con piano e voce che porta al termine del brano.
In To Mark Everywhere (2) ci sono una batteria ossessiva e due o tre trombe che dialogano tranquillamente del più e del meno, forse del tempo che fa o di come preparare un buon tè; rimane una sola tromba e (To Saintly Bridget -3-) la batteria innesca un delay che la voce accompagna in un gioco d'eco fino all’assolo di fischio jazzato con basso acustico in stile swing. Due sax danno al tutto un tono professionale di ensamble classico.
C’è una disinvoltura, una naturalità inaudita, visto che tale musica, nuovissima, come certe meraviglie, stava sempre nella nostra testa, accontanata, e che attendeva solo di essere risvegliata dal prodigio di turno, una meraviglia fatta alla luce del sole, non con fumi, rulli di tamburi e tendaggi da teatro. Il basso frena (To Oz Alien Daevyd and Gilly -4-), la batteria smania, la tromba con sordina invita all'attesa, il sax tremola e poi trova dei segnali, simboli, geroglifici che anche la tromba ora sa interpretare, ecco, c'è una strada (To Nick Everyone -5-), è la batteria con l'eco: la grancassa, il tom, i tom, il rullante... sì, è la strada e anche il sax ha capito, di qui si può passare. È il ritmo che guida, un ritmo che accelera, rallenta, i suoni dei tamburi che scandiscono il passo, che tagliano l'aria, il legno delle bacchette sul rullante è il suono che guida. I fiati scalpitano, non hanno quel ritmo, i fiati son fatti per volare e si mettono d'accordo allora e anche il piano è della combriccola. È free fatto col cuore, prima che con la testa, e a fare capolino c'è Sun Ra, più di ogni altro. Ma è free calmo, c'è una luce fresca intorno, è il contrario del caos, tutto è chiaramente distinguibile, il dialogo è fin troppo comprensibile, è free educato, consapevole, adulto.
La batteria incalzante di In To Mark Everywhere (2) ogni tanto si inserisce a legare tutto il discorso in un unico capitolo, in un unico discorso, a sottolineare l'omogeneità che era comunque chiara. (To Caravan and Brother Jim 6-) Ora il tono del piano e della batteria sono seri, basta giocare, l'organo mette solennità alla voce che fa il verso al drum-set. Poi l'organo, i tamburi, il piano, s'inceppano, manca l'olio per proseguire, il meccanismo evidenzia la ruggine, ma la volontà ad andare avanti c'è e si è pronti a lasciare la strada vecchia per questo nuovo viottolo sterrato, buio, difficile, insidioso.
Ma va, la nuova strada, seppure con tutte le novità del caso, l’ingranaggio sembra andare, è la via giusta. L'organo s'inalbera e scompare; rimane un sibilo di rullante, forse ci si è smarriti nel bosco. (To the Old World 'Thank You for the Use of Your Body, Goodbye'-7-) Niente paura, è solo un bosco, la trombetta, infatti è divertente, fa simpatia, il giochetto di elettronica è allegro. Non è più jazz, è contemporanea, Stockhausen o Berio sono i maestri del nuovo territorio, non Charlie Parker. (To Carla, Marsha and Caroline 'For Making Everything Beautifuller' -8-) Il pianoforte classico mette le radici alla deriva della sperimentazione elettronica, l'organo puntualizza le radici, ma non si può tornare indietro nel tempo, i cluster di note sul pianoforte lo ricordano, anche se la melodia della musica che ci ha accompagnato per secoli è bella, ci affascina, le scale tonali...
È il ritmo l'altro faro della musica, (Las Vegas Tango, Pt. 1, ultima traccia, stesso identico titolo dell'apertura) e un ritmo insistito fatto con la voce, mette la cornice al nuovo: un fischio con delay, la trombetta che ha assunto una fisionomia più seria, si esprime più decorosa di prima, è la nuova musica, di adesso, di un adesso che può cambiare in qualsiasi momento. È il culmine del disco, la sintesi della musica di Wyatt, quella più meditata, con le fondamenta nel jazz, nel ritmo e nelle melodie che sorgono spontanee e leggere. I suoni sono quelli meravigliosi che tutti gli strumenti, anche le corde pizzicate di un pianoforte possono produrre; le invenzioni sono milleuna, tra strumenti e voce. Commovente. E vorremo che Las Vegas Tango non finisse così come finisce un disco, con un asettico silenzio; per fortuna il tempo di goderne il flusso c'è, ed è un fiume in piena, come di rado capita di sentire. Capolavoro.
Tweet