Codeine
Frigid Stars
Negli anni Novanta iniziò a serpeggiare un sentimento, piuttosto comune tra i giovani musicisti, di reazione alla volgarizzazione della musica che la parte marcia degli ’80 aveva portato: il nuovo decennio si aprì con le innovazioni rivoluzionarie degli Slint, band che meglio di qualsiasi altra incarnò quel sentimento, assimilandolo in maniera pressoché simbiotica al senso di vuoto lasciato dall’altra metà degli anni Ottanta, quella sana. È in questo contesto che è da ricercarsi la matrice dei Codeine, trio newyorkese che, partendo proprio dalle intuizioni ritmiche e chitarristiche degli Slint, forgiò e al contempo formalizzò lo slow-core, genere che, grazie anche a formazioni più tardive come June Of ’44 e Calla, scriverà, attraverso la lente deformante del ralenti, alcune tra le pagine più belle del rock.
L’album d’esordio dei Codeine, che pure segna la vetta artistica del gruppo, esce nel ’91 sotto la gloriosa insegna della Sub Pop. I tre intessono un sound cupo, dal ritmo scandito e sofferto, musica per uno stato di trance ipnotica, di dormiveglia. Ballate lancinanti, sordide e striscianti nella loro solennità infiacchita e snervata (“D”, “Cave In”), antesignane della tristezza evocativa che pervaderà i lavori di gruppi come Sigur Ros e Jesu, si alternano a pezzi più sperimentali, come l’agghiacciante "Second Chance", in cui la sezione ritmica lancia colpi secchi e precisi che si sperdono nel vuoto, inghiottiti dalle digressioni chitarristiche stanche e rumorose.
A tratti gli strumenti accennano quelle impennate cadenzate che faranno la fortuna di Mogwai, Godspeed You! Black Emperor, Explosions In The Sky, ma poi implodono, come risucchiati nel vuoto. La voce di Stephen Immerwahr si mantiene sempre su tonalità disarticolate, che paiono fuoriuscire dalla corde vocali di un eterno sonnambulo: se il simbolismo con un certo sonno della ragione risulta piuttosto prevedibile, ciò che sconvolge è il rifiuto di ogni risveglio. Anzi, i Codeine sembrano fluttuare stancamente nel clima soporifero che creano. Così, quando un tonfo sordo si porta via la bellissima “Pea” e il sole che preannunciava nel testo, non sappiamo se scuoterci o chiudere gli occhi.
La recensione è apparsa per la prima volta sulla webzine Sensorium (www.sensorium.it)
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