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R Recensione

8/10

For Carnation

For Carnation

Escono eleganti e posate le parole dalla bocca di Brian McMahan, quasi incollate alle labbra, stanche di uscire, pigre di esistere, si confondono subito nel sussurro che le porta al microfono poggiato a tre centimetri dalla bocca. Sono finissime, bidimensionali, e si mimetizzano: ogni tanto, impercettibilmente, tornano quelle sofferte di "Washer", degli Slint, con lo stesso McMahan che sembra intonare ancora "Promise me the sun will rise again..."; poi si fanno solenni, imponenti, riportano alla mente i Codeine di "Frigid Stars" (sempre '91, che annata...), come nell'ultima, immensa, "Moonbeams" di questo "For Carnation", quando per un attimo le chitarre tacciono, il basso risuona indolente, le tastiere di McEntire lampeggiano come le luci nell'autostrada della notte e la voce ferma di McMahan ricorda "So partial to memory the pearls of our dead / but where do we keep them? Put'em here by the steps / while I climb to the top and I find where I am..."

 

Tutte sensazioni, comunque, istantanee del linguaggio musicale che ci portano indietro di dieci anni, agli inizi dei '90 che hanno visto muovere i primi passi dello slow-core americano – estensione biologica scarna (e cantata, tra le novità) del post-rock degli ultimi '80 – che ha portato a un nuovo stadio a tinte scure il suo stesso genere di appartenenza: post-rock quindi, ma decadente e concentrato di musica colta e d'immaginario classico. Dopotutto, il paragone più illustre di questo "For Carnation" è costruito sulle linee blues di un altro capolavoro del genere, "Hex" dei Bark Psychosis. E se "Moonbeams" è il riflesso calmo e incenerito di "Eyes & Smiles", nella città in fiamme della copertina di "Hex", "A Tribute To" è lo specchio perfetto della "Big Shot" dei Bark Psychosis, nei paralleli movimenti abulici di basso, nelle voci sciamaniche di McMahan e Sutton, nella cadenza secca delle percussioni, nella foschia diffusa dai synth (nel caso dei For Carnation, tributaria anche di certe atmosfere trip-hop dei Massive Attack di "Mezzanine"). Laddove però emerge in tutta la sua ammaliante sacralità l'anima sad-core del gruppo, è nella desolazione rimbombante di "Being Held", che coniuga sapientemente il post-rock industriale dei Labradford (i rintocchi assordanti delle tastiere) alle riprese aritmetiche e squadrate di una batteria sulla scia dei Tortoise (non è un caso, appunto, la presenza di McEntire ai sintetizzatori, ex Tortoise). La ballata nera di "Snoother" sono invece gli Slint più cupi e magnetici, un inno al grigiore e all'apatia di sepolcrale bellezza, che si muove (anzi, fa osmosi) tra accordi sghembi di chitarra, colpi sordi del basso di Cook e la voce di McMahan che scandisce in slow-motion "We are no less removed / than for that which she is known / we show no less a sign / of strength / than she may claim...". Dalla noir-ballad alla nenia il passo è breve, e l'incipit di "Emp Man's Blues" è lì che si staglia grave su un semplice giro ipnotico del basso, che proietta i suoi tre-accordi-tre al movimento di più ampio respiro degli archi di Fredericksson (tanto perché un tocco dei Rachel's non fa mai male).

 

Influenze, collaborazioni e preziosi camei anche nell'ultima, elettronica, "Tales (Live From The Crypt)", splendida sintesi di questo viaggo catalettico, e forse la più movimentata del lotto: alle corde vocali dolci e ventilate della Kim Deal e agli arpeggi profondi di Cook vero filo conduttore dell'album risponde la graffiante electro-session dei synth che distorcono i tempi degli strumenti a corde e sublimano il brano con segmenti di beat acuti, tra il tremulo e il vibrato. Così com'è stato concepito, dunque, questo "For Carnation" è un po' l'album-summa di un intero filone generazionale, oltre che musicale: un cast d'eccezione, come in un kolossal americano, che manda al tramonto un genere nato-vecchio (e nato-stanco) inaugurando il nuovo millennio con i sapori più belli degli anni '90. Non un disco facile da amare, ma necessario.

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Voto degli utenti: 8,7/10 in media su 6 voti.
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Teo 8/10
4AS 9/10

C Commenti

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hiperwlt alle 12:52 del primo dicembre 2011 ha scritto:

conosco più per riflesso e lodi di altrui; ma ammetto di non averlo mai ascoltato attentamente - non mi mangiare, Fil!; lo ricordo proprio ostico. rece stupenda: e se il paragone più illustre è "hex", ed ha davvero quelle che qualità che descrivi, gli dedicherò sicuramente del tempo!

fabfabfab (ha votato 9 questo disco) alle 13:11 del primo dicembre 2011 ha scritto:

"Il post-rock implode definitivamente in questo magma sonoro denso e scurissimo. I suoni emergono a fatica dall'incedere strisciante e sabbioso di questo monolite affascinante, profondo e bellissimo" - auto-cit

Filippo Maradei, autore, alle 13:54 del primo dicembre 2011 ha scritto:

Fai con calma però, Mauro, 'ché non è disco proprio facile: da meditazione, dopo i pasti, e a piccole dosi, ecco.

4AS (ha votato 9 questo disco) alle 13:00 del 9 dicembre 2011 ha scritto:

Lo adoro, è il connubio tra i due pilastri del genere (slint e bark psychosis) per arrivare ad una terza via. Per me chiude un cerchio, quello del miglior post rock (anni '90). Rece sintetica e scritta bene, da uno che se ne intende.