Low
Ones And Sixes
La sensazione di una membrana che sta per lacerarsi, che finalmente si spacca con lingresso portentoso della chitarra distorta, luce perforante (al minuto 7:39 della canzone, se vogliamo essere precisi). E poi è marea che trascina, e che cresce, illimitato liquido: è questo il primo, scintillante approccio con il nuovo disco dei Low, ascoltando la coda di Landslide sulla carrozza di un treno, lAdriatico sulla destra, al tramonto di settembre.
Membrane dischiuse e bagliori improvvisi spingerebbero a pensare a musica radiosa, slanciata, ma lennesimo lavoro della band simbolo dello slowcore si presenta fin dai primi accenni come dark e malinconico, benché più dinamico rispetto allultima fatica (The Invisible Way, 2013, al quale un brano, The Innocents, pare ancora appartenere). Si veda Gentle, così gelida nei puntigli elettronici, o No Comprende, che potrebbe fare da sfondo a un corteo funebre, tra vetusti candelabri, e grande sei corde funerea alla fine. O ancora il pezzo di chiusura, DJ, tra accordi elettrici titillanti, a reiterare la formula, il rituale ormai collaudato, lungo giro di chitarra, soliti falsetti di Mimi Parker.
Levocazione: ecco la parola magica dei Low. Musica meditativa, essenzialmente pacata, composta (eppure supportata da grancassa, piatti e tamburi) che rimanda ad altro, riuscendoci con poco - poco si fa per dire. Si guardi la copertina di questalbum: un arbusto secco, scheletrico, nero da sembrare bruciacchiato, su sfondo interamente grigio, rami filiformi: è da quella sottigliezza e da quel minimalismo (e assai minimalista è un brano come Into You) che si dipanano le trame nascoste dellevocazione.
Cè qualche episodio minore, in questo Ones And Sixes: Kid in the Corner, sporco pop-rock un po stantio; le ripetizioni sterili e sciatte di What Part of Me. Ma mai la piattezza e la noia che qualcuno imputa ai Low: semmai la capacità, o sarebbe meglio dire il talento, di rielaborarsi di continuo, e farlo con classe, trattenendo il solito marchio di fabbrica.
La verità è che dopo ventanni e dieci dischi sono ancora qui, a livelli più che accettabili. E il ritornello di Spanish Translation (All that I thought I knew then / Flow out the back of my head), magnetico e gonfio, è tra i migliori sentiti questanno.
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