Mark Kozelek & Desertshore
Mark Kozelek & Desertshore
Instancabile e alacre, Mark Kozelek regala ai suoi fan un altro disco, in attesa del ritorno dei Sun Kil Moon previsto a gennaio. A questo giro della giostra salgono i Desertshore, progetto di cui sono titolari i vecchi sodali Phil Carney, Chris Connelly e Mike Stevens, autori delle musiche mentre Mark scrive i testi, suona, canta e riannoda i fili della memoria, inseguendo altri fantasmi della sterminata autostrada. Incipiente incontinenza senile? Probabile. Oppure semplice voglia di spedire cartoline dal suo tormentato mondo interiore, e un modo di lenire ferite nellanimo che si credevano ormai del tutto suturate, come si evince dai pensieri dedicati in Sometimes I cant stop e Tavoris Cloud a due amici recentemente scomparsi, Jason Molina e Tim Mooney degli American Music Club.
Rispetto al precedente lavoro con Jimmy Lavalle, caratterizzato da insolite venature elettroniche, a dire il vero non del tutto felici a parer di chi scrive, il cantautore americano torna su sentieri più consoni. Ossia, un ispirato zibaldone elettro-acustico fatto di delicate miniature bucoliche, lontane reminiscenze alt-country, ruggenti aperture chitarristiche e divagazioni che rimandano al glorioso passato dei Red House Painters: si ascoltino in tal ottica le movenze gelide e in moviola di You are not of my blood, quasi un ricordo pescato in un cassetto ai tempi dellepocale Down Colorful Hill.
Non mancano episodi da circoletto rosso, che i più devoti cultori del buon Mark potranno con cura riporre tra le perle del suo ormai cospicuo canzoniere; Seal rock hotel, forte di una melodia che scorre fluida sulle ardite traiettorie dellottovolante; la brillante fantasia di Katowice or Cologne, dal titolo quasi un sequel della splendida Tonight in Bilbao di pochi anni orsono; lagreste malinconia di Dont ask my husband, puntellata da un soffice wurlitzer youngiano sullo sfondo. E poi Brothers, in cui sontuosi fraseggi pianistici di Connolly accompagnano il nostro eroe nellennesimo viaggio verso le sue radici in Ohio, qui dipinto con colori tenui e distesi, lontani anni luce dal furore di una Lord kill the pain , in cui svettavano versi quali Let me see the burning of my hometown.
Il momento cardine dellalbum è probabilmente larsa e poderosa cavalcata crazyhorsiana Livingstone Bramble, forte di un testo non-sense che rimanda al Neil Young di Re-Ac-tor. Un Kozelek insonne si dibatte tra i soliti incontri di boxe su Espn e riflessioni del calibro di I can play Rob Fripp and Johnny Marr and make circles round Jay Farrar e I like Kirk Hammett and Steve Vai but I hate Eric Clapton and Nels Cline, I hate Nels Cline, seguiti da un divertente assolo ronzante di Carney, evidente parodia dei Wilco.
Oldness comes with a smile, declamava anni fa Mark: scrivendo questo sberleffo almeno una rara risata se la sarà davvero fatta.
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