Sun Kil Moon
Admiral Fell Promises
Mi fanno sorridere le iperboli, le esagerazioni e le estremizzazioni. Il linguaggio comune ha ormai sostituito gli aggettivi con i loro superlativi, per cui se ti piace un alimento non puoi definirlo semplicemente buono , ma devi dire che è buonissimo. Se ti chiedono un parere su un film e tu rispondi che è bello, avrai espresso un parere tiepido, e il tuo bello verrà mentalmente tradotto dal tuo interlocutore in termini negativi o quasi. Non ce nè, se vuoi esprimere il tuo apprezzamento devi dire che è bellissimo, divertentissimo, fortissimo.... e via così fino al romanesco "deligadissimo" di un recente spot pubblicitario.
In maniera analoga, non mi sono mai piaciuti i "fan". Per "fan" intendo non un normale e appassionato fruitore di musica che esprime preferenze o predilezioni, ma quei soggetti gravemente affetti da una sindrome "monovisiva" che gli impedisce di vedere il mondo che circonda il loro idolo, quel Profeta musicale che "ha cambiato la mia vita". Mi viene in mente - facile - "la combriccola del Blasco", ma anche gli intellettuali ultras dei Pink Floyd non sono da meno (quelli che qualunque nota arrivi alle loro felpate orecchie commentano piccati: "questo lo facevano già i Pink Floyd venti anni fa") oppure, più in generale, quelli che ascoltano solo un artista, quelli che quando entrano in un negozio di dischi escono con il ventunesimo bootleg live dei Pearl Jam, con la tredicesima ristampa dei Velvet Underground o con il cinquantesimo 7'' di Bonnie "Prince" Billy; con una fedeltà da far invidia ad un cane pastore, con un senso di appartenenza così coerente che se applicato - dico per dire - alle istituzioni dello Stato, renderebbe questo mondo un paradiso di giustizia e correttezza.
Ora, fatta questa doverosa premessa, Mark Kozelek è bravissimo, intelligentissimo e tanti altri superlativi che adesso non mi vengono in mente. Ogni nota pubblicata - a suo nome, a nome Red House Painters o a nome Sun Kil Moon - è entrata di diritto nella mia fonoteca e non accenna (ora e sempre) ad allontanarsi dalle prime posizioni della mia personale classifica. Io appartengo alla "combriccola di Mark Kozelek", io sarò sempre un "sorcino" di Mark Kozelek. Che scriva pagine immortali di slowcore con i Red House Painters, che si presenti in solitudine con improbabili dischi di cover degli AC/DC o dei Modest Mouse o che decida di tingere di malinconia il rock con i Sun Kil Moon, io sono con lui, devoto e accondiscendente come un direttore del Tg1.
Sono qui anche oggi, di fronte a un disco dalla copertina nera e imperscrutabile come quella del precedente "April" (2008), uscito ancora a nome Sun Kil Moon, sebbene ormai il nome della band abbia perso qualsiasi significato. Perché la band non c'è più, c'è solo Mark Kozelek, con la sua voce e la sua chitarra. Un ritorno alle origini in piena regola, un viaggio al contrario verso quella dolorosa assenza di luce che caratterizzò i primi lavori dei Red House Painters.
"Alesund" ha un' introduzione "anti-commercial" fatta di corde di nylon pizzicate con eleganza e senza alcuna fretta, poi diluisce speranze ed illusioni attraverso deserti di chitarre in stile "flamenco" e quel tono di voce che è ormai più di un semplice marchio di fabbrica. La voce di Mark Kozelek è la stessa da vent'anni: nessun segno di cedimento, nessuna increspatura, nessuna volontà di protagonismo. "Half Moon Bay" aggiunge dinamismo introducendo arpeggi in saliscendi e abissi quasi silenziosi. La novità è proprio nell'uso della chitarra, le cui corde non subiscono il solito appassionato trattamento "strumming" ma un elegante (e classicheggiante) "fingerpicking" influenzato - per ammissione dello stesso Kozelek - da giovani artisti come Kaki King. A questo si devono i molti passaggi di chitarra classica che sembrano segnare un punto d'incontro tra il consueto approccio slowcore del nostro e artisti come Nick Drake o - ancora di più - John Fahey: gli ultimi momenti di "Half Moon Bay", alcune sezioni di "Church of The Pines" e "Bay of Skulls". Nuove ispirazioni per uno dei migliori autori della storia musicale recente che, per fortuna, continua a mantenere vivo il suo personalissimo stile (quel modo di "chiudere" la canzone fino a farla sparire - "You Are My Sun", ma allo stesso tempo quella capacità di drammatizzare le aperture melodiche - "The Leaning Tree") fatto esclusivamente di pancia e di cuore. Tutto qui.
E si è voluto tacere - per una infantile forma di gelosia - dei testi. Quelli sono un affare privato tra noi fans e Mark. Un ammiraglio che mantiene sempre le promesse
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