Aldous Harding
Aldous Harding
Verrebbe da pensare in estrema sintesi che il bello del vivere sia la nostra costante capacità di stupirci, e che linvecchiamento non sia altro che il progressivo venire meno di questa capacità. Mi viene in mente quel mio amico che dopo avermi straziato di noia con i racconti dei suoi viaggi sui monti del Tibet e del Nepal, non riuscì a trattenere un sospiro di meraviglia di fronte ad una bella vallata delle Alpi Cozie. Il che è come dire scendendo di quota che noi che abbiamo tutti i dischi di Joni Mitchell e Nina Simone, che abbiamo visto nascere Cat Power e PJ Harvey e che siamo sopravvissuti alle nenie medievali di Joanna Newsom e ai giocattoli delle Cocorosie, non abbiamo più speranza di meravigliarci di fronte ad una donna che imbraccia una chitarra e canta le sue canzoni.
Eppure: come si fa a resistere ad Hannah Harding? Come si può ignorare una che ti fissa con un cappello da baseball della Liquor Centre sulla testa e uno sguardo carico di ansia e fragilità? Cosa le sarà successo? Le hanno rubato il camion? Sta andando a fuoco la legna sullo sfondo? E che musica farà, una così? Punk? Cover delle L7? E secondo voi lo sa che pur negando a se stessa ogni traccia di femminilità a noi sembra bellissima?
Hannah Harding è neozelandese e non sorride mai. Sua madre è una famosa cantante country. Sul palco Hannah diventa Aldous e porta la sua musica sui palchi di mezzo paese da alcuni anni. Aldous Harding raccoglie i suoi brani migliori ed è il suo disco desordio. Forti del loro rodaggio dal vivo, i brani vivono della loro forma chitarra e voce, ma esprimono una forza che proviene dalla profonda fragilità della loro autrice, la quale si spoglia di ogni difesa fin dalla preghiera iniziale, un gioiello arpeggiato con delicatezza e cantato con una forza inimmaginabile. E quando sul finale un controcanto maschile aggiunge dramma al dramma è davvero difficile fermare le lacrime (Stop Your Tears). Anche laddove gli arrangiamenti darchi si sovrappongono a ballate costruite su pochi accordi (Hunter) prevale un senso di malinconia diffuso, come se la poca luce che filtra dalle imposte non riuscisse a scaldare la stanza. Non è oscurità, quella che spinge alla deriva il cuore di Aldous, non cè niente di lugubre o funereo, è solo una sensazione di penombra al tramonto, una via di mezzo tra lirrequieto arrivo della notte e la consapevolezza del mattino che verrà (Titus Groan), la porta aperta sulla veranda in giardino (Small Bones of Courage), la volontà di respirare anche quando laria è più rarefatta (bellissima la reciproca rincorsa tra il suono del theremin e quello della voce di Aldous in Two Bitten Hearts).
Se pensate di aver visto e sentito tutto, andate in Nuova Zelanda, chiedete della giovane ragazza chiamata Aldous e lasciatevi stupire. Chissà che non riusciate a stupirla anche voi, magari strappandole un sorriso.
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