R Recensione

6/10

Ani Di Franco

Ani DiFranco

Parlo senza riserve partendo da ciò che so e da chi sono. Lo faccio con la consapevolezza che tutti dovrebbero avere il diritto di offrire al coro la propria voce, sia il risultato armonia o dissonanza. Senza le differenze che ci distinguono le canzoni sarebbero vuote cantilene, ed è questa differenza che dovrebbe essere celebrata e non condannata. Se qualche parte della mia musica dovesse offendervi, non chiudete le vostre orecchie. Prendete semplicemente ciò che è buono per voi e andate avanti –ani”. La little folksinger inizia la sua avventura discografica così, con questa breve introduzione al suo mondo e al suo modo di fare musica: poche parole rispettose ma decise ed inequivocabili. E altrettanto asciutta ed essenziale è la veste sonora delle sue prime tredici canzoni (l’ultima delle quali, Letting The Telephone Ring, non compare nella versione su cassetta): la chitarra acustica, suonata quasi con timidezza, è l’unico strumento che accompagna la sua voce. Così come farà in tutti i dischi successivi, la DiFranco sottolinea l’imprescindibilità dei suoi testi inserendoli nel booklet (tutti tranne quello di The Slant, pezzo recitato senza alcun accompagnamento ).

La voce è ancora acerba e lo stile chitarristico che negli anni farà affermare Ani DiFranco (nel 2000 vincerà anche un Gibson Guitar Award) qui è tutto ancora da sviluppare. Ma anche in questa versione essenziale e scarna, le tredici canzoni reggono perfettamente, tanto che a distanza di oltre quindici anni brani come Both Hands, Fire Door e Out of Habit sono tra i più richiesti durante i concerti della folksinger.

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