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7,5/10

Paolo Benvegnù

Earth Hotel

Torna Paolo Benvegnù con un nuovo capitolo della sua ricerca. A dieci anni dall’esordio solista e a tre anni dal precedente lavoro, l’autore produce un concept album che non manca di tracciare la continuità tra la trilogia del rosso ("Piccoli Fragilissimi Film", "Le Labbra" e "500") e il discorso iniziato con "Hermann"Lasciate definitivamente le incursioni in territori di sperimentazioni care agli Scisma (di cui era cantante, chitarrista e autore)il nostro e i suoi compagni di viaggio possono essere ormai annoverati nel patrimonio storico della canzone d’autore italiana, presentando album dopo album, canzone dopo canzone, un’evoluzione artistica, concettuale e umana propria solo dei grandi della musica. Riuscendo così a mutare e, insieme, mantenere una coerenza interna di quel riuscito connubio tra cantautorato e assetto rock

Il confronto tematico con i lavori precedenti è inevitabile: infatti, se con "Le Labbraera stato affrontato il tema dell’amore nella sua declinazione più poetica e idealizzata ed "Hermann" rappresentava la colonna sonora di un film mai girato (l’evoluzione-involuzione dell’uomo), in "Earth Hotel" viene messo di nuovo al centro l'amore. Il noi nell’amore.

 La stanza dell'EP "14-19", ideale luogo carnale e affettivo di coppia, lascia spazio alle stanze quali luoghi di passaggio, spazi della solitudine in cui fermarsi e riflettere. Su di un’ascensore immaginario, ci si sposta verticali dal primo all’ultimo piano di questo suo hotel, perdendosi nello spazio e nel tempo dei versi e dei suoni.

In "Una nuova innocenza", singolo che anticipa l’album, tra chitarre riverberate ed echi di batterie new-wave trova spazio il tema dell’amore paterno - quasi una poetica della ricerca del tempo perduto, della ricostruzione dei rapporti quale avviamento alla vita.

I ritmi incalzano, e dentro "Nuovosonettomaoista" le parole diventano mantra di liberazione dalla finta libertà e dalla chiusura emotiva che il mondo post-moderno ha istituito come nuovi valori.

"Avenida Silencio" è la punta più alta del disco: poliglotta e complessa nell’arrangiamento, suona come un canto di salvezza dalla paura del silenzio. Come la scena di un film che inquadra in prospettiva aerea un lungo viale, il pezzo permette di ammirare e gettare un nuovo sguardo su ciò che è stato e ciò che potrà essere.

In "Life"Benvegnù si cimenta con una ballata chitarra e voce dai toni dolci e soffusi, scrivendo e cantando in inglese (non è una novità: si ascolti "I Am The Ocean" dei già citati Scisma) che rimanda alla migliore tradizione cantautorale d’oltreoceano.

"Feed the destruction" e "Piccola pornografia urbana" alzano di nuovo i toni: fil rouge che lega questi due brani (dagli arrangiamenti che fanno impallidire la nuova leva del revival '80 italiano) è la necessità di seguire, alimentare e trarre giovamento dal dolore; dolore quale condizione necessaria per amare. "Stefan Zweig" concretizza musicalmente l'idea dell'impossibilità di conciliare idea d'amore e amore reale del poeta, scrittore e drammaturgo austriaco.

Merita un discorso a parte la traccia di chiusura, "Sempiterni sguardi e primati", la quale fornisce più domande che risposte sulla vita. Bellissima e tragica, è il dodicesimo piano dell’Earth Hotel: il punto più alto raggiunto dalle parole di Benvegnù. Versi che s’innestano su suoni eleganti, complessi ma mai invadenti, che fanno da contrappunto ponendo l’accento su ogni singola parola scandita.

Album multiforme, trasversale, "Earth Hotel": che scorre liquido e cangiante, mantenendo un qualità media degli arrangiamenti (anche in quelli più rischiosi: si sentano gli umori barocchi e gli archi in "Divisionisti") ineccepibile. Merito deldrumming preciso e caratteristico di Andrea Franchi, della capacità di Luca Baldini di non rendere il basso solo uno strumento ritmico; ai paesaggi sonori intessuti da Guglielmo Ridolfo Gagliano e alla nuova vita data ai suoni da Michele Pazzaglia.

Il disco si chiude con un incessante interrogarsi, un interrogarsi anche esistenziale (“dove siamo? E avevi ragione tu, non c’è niente in fondo alle cose, non c’è niente, soltanto disperazione, fuga e incatesimo, eppure è tutto vero”) che lascia spazio all’errore. E all'amore.

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