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R Recensione

6,5/10

Davide Iodice

Larsen

Quando Torino si risvegliò orfana della sua mamma, quella orgogliosa fabbrica italiana che per decenni aveva garantito ai suoi figli sogni e certezze, alcuni esponenti dell’elite politica della città non si scomposero: “Non c’è problema – dissero – il futuro è Slowfood”. Slowfood, per chi non lo sapesse, è una specie di consorzio che si occupa di “elevare la cultura alimentare dei cittadini”. Niente di male, per carità, ma al sottoscritto e a qualche altro ingenuo provincialotto rimbalzarono in testa almeno due domande: 1) “Come faranno a mettere quarantamila operai dietro il bancone di una gastronomia?” 2) “Quante cazzo di robiole di Cocconato dovranno vendere per rientrare della mancata vendita di un Doblò?”. Eppure, la città intera si crogiolava in questo sogno, quasi liberatorio nel suo segnare il passaggio da città operaia e proletaria a città borghese e culturale. Mai più Detroit e sempre più Parigi, questo sembrava il desiderio di una città che non ha mai ammesso a sé stessa di essere stata costruita con il lavoro degli operai immigrati, arrivati in massa a Porta Nuova con le valigie di cartone e le galline nelle gabbie.

Spero davvero che la prenda per quello che è, ovvero una nota di colore nata da una suggestione un po’ superficiale, ma l’ascolto del concittadino Davide Iodice mi ha fatto venire in mente questa torinesità austera, lontano retaggio di un passato fatto di re e regine, dotata di una fierezza figlia di una storia culturale e artistica che ha poco da invidiare a città come Roma, Firenze o Venezia, che vivono di cultura e turismo. E allora, se altrove i suoi colleghi si chiudono in cameretta e si ingobbiscono sulla chitarra acustica scavando tra drammi esistenziali e ricordi in bianco e nero, Iodice appende al muro una laurea in medicina, studia composizione classica, collabora con l’Orchestra Sinfonica Bulgara, si occupa di design e fotografia, poi vola in Islanda per seguire un corso di scenografia e torna indietro con in testa questo disco, che si intitola “Larsen” e che rientra nel dichiarato (e ambizioso) progetto del suo autore:  “promulgare la voce dell'arte e della cultura come unico rimedio ai mali della società”.

E’ normale quindi che la musica di Iodice rispecchi la sua personalità poliedrica, famelica e coraggiosa. E cotanto coraggio a volte lo espone ad una serie di “rischi calcolati”: la voce lirica di Sandra Balducci è un po’ “sopra le righe” in questo contesto, e in almeno un brano (“Rock Set”) diventa difficile tenere lontano lo spettro emaciato di Marilyn Manson. Al di là di questi “spigoli”, “Larsen” è un buon disco elettropop concepito alla maniera dei Bluvertigo (“Ti cercherò” è davvero degna del miglior Morgan pre-crack), che a loro volta andavano a pescare dal Battiato cantautore (“Credere”), e infila una buona manciata di brani tra rock (“Segesta”), sperimentazione (“Il vuoto delle idee”) e pop sofisticato (“Fiandre”).

Una buona proposta da un artista di livello eccellente: eclettico, appassionato e originale. Torino, si sa, ispira.

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