R Recensione

8/10

Aimee Mann

Smilers

È sempre lei. Chi ha un’anagrafe abbastanza pesante da consentirsi di retrocedere con la memoria fino alla metà degli anni Ottanta, se la ricorderà molto probabilmente, Aimee Mann, anima ispiratirice e frontgirl dei ‘Til Tuesday, band di Boston a metà tra new wave e post punk. Prima che questa ensemble sparisse più o meno nel nulla di lì a circa tre anni, Aimee riuscì a realizzare con essa un album d’esordio, quel Voices Carry (1985) che di botto mise d’accordo pubblico e critica, le fece scalare le vette delle charts mondiali e la rese nota a molti. Lei era la lead vocalist, suonava il basso e lasciava il segno, vestita quasi sempre di nero e con i capelli color platino sparati in verticale. Un volto dai tratti severi e taglienti, freddissimi occhi azzurri, una voce dal timbro scuro assai poco adatta all’interpretazione di testi frivoli, che infatti ha sempre evitato. Poi, a partire dal 1993, intraprende la carriera solista, realizzando una serie di album che l’hanno maggiormente fatta conoscere al pubblico come raffinata inventrice di melodie pop sulle quali incastona testi profondi e intelligenti.

Oggi Aimee ha quarantasette anni portati splendidamente, è diventata, si direbbe, più morbida e dolce rispetto ai suoi esordi, i capelli li lascia ora cadere lunghi e lisci sulle spalle, di buon grado preferisce agli abiti scuri normalissimi jeans e semplicissime T-shirt che le danno tanto l’aria di un’affascinante ragazza trentenne, libera da imposizioni, condizionamenti e mode passeggere. Ma in fondo non è cambiata da quando era la lead vocalist e la bassista dei ‘Til Tuesday. Come allora, nella sua musica è tuttora presente la capacità di costruire melodie coinvolgenti, dirette ma non scontate, sulle quali viaggiano testi che osservano persone comuni e fatti minimi con attenta e calorosa partecipazione umana.

Passata attraverso varie prove della propria felice e spontanea vena compositiva, dall’apprezzato esordio Whatever (1993), al notevole concept album The Forgotten Arm (2005), con nel mezzo la significativa tappa della determinante partecipazione alla soundtrack di Magnolia (1999), Aimee Mann è uscita all’inizio di giugno 2008 con il nuovo @#%&*! Smilers. Il titolo nasce da una riflessione di Aimee sul significato che crittogrammi, simboli grafici ed emoticons hanno assunto nelle società contemporanee: “ho letto un articolo in cui si affermava che in tutte le culture la sola cosa a cui generalmente la gente ha la medesima reazione è la faccina sorridente tratta da un cartoon”. “Smilers” sono invece gli eternamente sorridenti, quelli che non solo sorridono di per sè in qualsiasi circostanza, ma che per giunta invitano gli altri a sorridere con loro, con frasi scioccamente ingessate, del tipo: “eddai su, sorridi un po’!”, risultando spesso ridicoli, a volte anche un po’ irritanti e rompipalle. Allora, tutta la sequela di simboli e diacritici del titolo si può sostituire con il ben noto improperio anglosassone “fucked”, che Aimee, con uno zelo da signora d’altri tempi, ha ritenuto non fosse opportuno utilizzare sulla copertina di un album di canzoni.

Come spesso nei lavori precedenti, anche in quest’ultimo, che è il suo settimo full length in studio, Aimee si lascia attrarre dalla descrizione di personalità oscure ed eccentriche. Si tratta, in realtà, di uomini e donne comuni, che Aimee conosce di persona, o che vede passare sulle strade e sui marciapiedi della città di Los Angeles, dove vive. Le piace scandagliare gli anfratti più intimi dell’anima degli esseri umani, non di tutti sia ben chiaro, ma precisamente di quelli che vivono lontani dalle luci del successo e della fama, di quelli che, ungarettianamente, vengono spesso gettati in un angolo e dimenticati: così succede che tutto l’album sia percorso da un sottile filo di malinconia, scosso da battiti di cuori malati, intriso di solitudine e sorrisi amari. Attraverso il prosaico caleidoscopio di questa comune quotidianità, anche il tema onnipresente dell’amore subisce una rifrazione che lo fa scendere al rango di carne in scatola da supermarket, o, a scelta, di serial da prevedibilmente noioso pomeriggio televisivo.

La produzione di Paul Bryan elimina i riff pieni e rotondi, ma anche un po’ invadenti, delle chitarre elettriche, di cui abbondavano i precedenti lavori della songwriter americana, e li sostituisce con gli spazi più ariosi creati dalle chitarre acustiche, dai sintetizzatori, dai wurlitzer distorti. La sezione ritmica è in genere fortemente caratterizzata e funge da struttura portante per le nitide tastiere. Ampiamente utilizzate un po’ in tutto l’album le sezioni di archi e di fiati.

Il risultato è un pop melodico contagioso e d’impatto, come risulta subito chiaro dal primo brano e primo singolo estratto, Freeway, hooks grintosi con battute in 4/4, piano e synth, un vago debito verso il synthpop dei Cars. In questo brano Aimee ricorda un amico tossicodipendente, giunto a Los Angeles in virtù di un estremo atto di volontà, in cerca della propria rehab, ma anche desideroso di dare un taglio netto al passato. Ci sono ballate soavi affidate al piano come Stranger into Starman, orchestrazioni tra il gospel e il soul in Medicine Wheel, echi beatlesiani in Borrowing Time, con una batteria decisa e un intenso bridge di fiati e wurlitzer. Notevole Thirty One Today, imperniata sui sinuosi guizzi di un synth cristallino, sorta di impietoso resoconto autobiografico. L’autrice si guarda alle spalle per uscirsene sconsolata con una constatazione sonfortante: “Pensavo che la mia vita sarebbe stata in qualche modo diversa / Pensavo che la mia vita sarebbe stata migliore, a questo punto / Ma non lo è, e non so da che parte girarmi”.

Ma in fondo lo sguardo di Aimee Mann all’esistente non è né pessimista, né tantomeno disperato. Vi è, è vero, al fondo della sua ispirazione, una riflessione non superficiale sullo svuotamento della vita dell’essere umano contemporaneo, operato dalla cinematografia, dalla televisione, dalla musica di consumo, che hanno trasformato tutto in una grande industria di prefabbricati. L’analisi delle cause che hanno condotto a una tale situazione sarebbe lunga. Potrebbe starci dentro di tutto, dall’anticongiuntura economica che da anni affligge il suo Paese, alle angosce e le insicurezze calatesi come un’ombra scura e insidiosa dentro la psiche dell’americano medio soprattutto dopo l’11 Settembre. Ovviamente, un album di musica pop non è il luogo più adatto per certe disquisizioni: Aimee sarebbe anche tentata, forse, di approfondire il discorso, ma fortunatamente si ferma prima di sfiorare le stucchevoli banalità di una sociologia spicciola e improbabile. L’attimo adatto a racchiudere e risolvere tutte le proprie riflessioni esistenziali, Aimee sembra trovarlo in extremis nell’ultima traccia, Ballantines, brano swingato e trotterellante con il cameo del songwriter di San Francisco Sean Hayes che, producendosi, nel bridge, nell’imitazione vocale di una tromba, vorrebbe, forse, strapparci l’ultimo sorriso sulle note del disco che va a concludersi.

E così Aimee Mann consegna al proprio pubblico questo suo settimo album, tredici brani di gran classe e di eccellente fattura. Niente di rivoluzionario, certamente, né di esattamente innovativo, ma un fine manufatto di quell’artigianato pop sempre più raro e però ancora in grado di riservare all’ascoltatore autentiche soddisfazioni.

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Voto degli utenti: 6/10 in media su 3 voti.
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krikka 4/10

C Commenti

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TheManMachine, autore, alle 0:07 del 10 luglio 2008 ha scritto:

Un grazie particolare a doopcircus per l'editing della recensione, della serie, è stata dura, ma alla fine ce l'abbiamo fatta!! Poi, un assaggio da questo disco, anzi due. "Freeway": "31 Today":http://www.youtube.com/watch?v=QVqBJ8DdsGA&feature=related Notate la magnifica bass line. E grazie a tutti voi!

simone coacci (ha votato 6 questo disco) alle 10:39 del 17 luglio 2008 ha scritto:

Pop elegante, patinato, intelligente. Una scia melodica (e una voce incantevole) che scorre via in una sorsata, disseta e non lascia traccia. "Borrowing Time", "31 Today" e "Ballantines", valgono il prezzo del biglietto.

GiudiceWoodcock alle 16:01 del 29 agosto 2008 ha scritto:

ma cosa avra' voluto dire? la procura nomini al piu' presto un interprete!