R Recensione

8/10

Andrew Bird

Armchair Apocrypha

Se una proliferazione di cantautori apparentemente inarrestabile e divenuta ormai di proporzioni bibliche, rende difficile per l’ascoltatore orientarsi e tenere il bandolo della matassa immaginate quanto deve farsi spinosa la faccenda per il menestrello di turno: l’impresa di svettare su una massa apparentemente informe e sconfinata può rivelarsi disperata, più che ardua. Per ritagliarti un posto in questo brusio di voci e in questo stuolo di chitarre acustiche devi essere una mosca bianca, un freak o un genio.

Se Andrew Bird sia da annoverare o meno in quest’ultima categoria ancora non si può dire. È però indubbio che il nostro, cantautore e violinista proveniente dalla brulicante Chicago, rientra in una casta un po’ speciale: quella dei songwriters che inseguono il Pop con la p maiuscola e lo elevano, nella propria ricerca ambiziosa e generosa, a forma d’arte.

Trascorsi insospettabili come ausiliario dei nu-swingersSquirrel Nut Zippers, una costante crescita solista culminata nell’eccelso Andrew Bird & the Mysterious Production of Eggs (2005) per la Righteous Babe di Ani DiFranco, l’appodo su Fat Possum per cui esordisce con questo Armchair Apocrypha.

Un disco che porta la sua ricerca sonora a traguardi che difficilmente si sarebbero potuti pronosticare anche solo un paio d’anni fa: la forma canzone resta, la vena pop pure, ma emerge un disco sfuggente, sfaccettato, eclettico, che richiede pazienza ed ascolti ripetuti per insinuarsi sotto pelle, baciato dall’irrequietezza sofisticata di Buckley figlio e dalla raffinatezza un po’ snob di Rufus Wainwright, le architetture pop ingegnose di Sufjan Stevens, gli esperimenti con la classica dei Final Fantasy, il passo svelto e dritto di Josh Rouse.

Riferimenti di comodo, imprecisi e sgranati, per un artista che si manifesta con mille maschere, passi e registri e sfugge i facili paragoni, sgomitando incessantemente, pezzo dopo pezzo, per trovare una sua voce ed una sua strada: attraverso il crescendo inebriante di Fiery Crash, le vesti raffinate di Imitosis, il lirismo affranto di Armchairs e quello trascinato di Cataracts, gli intrecci sottili di Scythian Empire e l’epilogo assonato di Yawny At The Apocalypse.

Se sull’altare della crescita viene immolata, in parte, l’immediatezza e la spontaneità dei dischi precedenti, poco importa: il minimo che si possa fare di fronte agli sforzi compositivi di Bird è contraccambiare con un calcio alla pigrizia, rinfrancati dalla consapevolezza di aver (ri) trovato un altro grande cantautore

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Voto degli utenti: 7,2/10 in media su 9 voti.

C Commenti

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PaMeLlO alle 14:11 del 27 marzo 2007 ha scritto:

personalmente, considero andrew bird tra i più grandi cantautori folk-pop contemporanei, secondo - forse - solo a sufjan stevens. per quanto riguarda armchair - come appunto dici - un disco meno immediato e spontaneo del bellissimo production of eggs, ma pur sempre un lavoro molto valido ed ispirato.

Nadine Otto (ha votato 8 questo disco) alle 21:14 del 8 aprile 2007 ha scritto:

Concordo pienamente con te Gran bel disco!

Marco_Biasio (ha votato 4 questo disco) alle 17:27 del 25 dicembre 2007 ha scritto:

A me non piace proprio

Non mi ha lasciato nulla, e dire che il cantautorato mi piace moltissimo. Questo, paragonato a Shannon Wright o Angels Of Light, viene cancellato all'istante.