Badly Drawn Boy
Born In The U.K.
Che Badly Drawn Boy sia uno dei più bravi cantautori degli ultimi dieci anni è cosa consolidata, che i suoi dischi siano sempre all'altezza della sua penna lo è un pò meno. Difficile d'altra parte dar seguito ad un esordio folgorante come The Hour of Bewilderbeast, disco che ha fin da subito lanciato Damon Gough nell'olimpo dell'indie rock cantautoriale.
Accostato a Beck ai tempi dell'uscita per l'eterogeneità dello stile e una certa vena lo-fi in realtà fin da subito il "ragazzo disegnato male" ha dimostrato di avere un registro melodico e compositivo assolutamente personale, erede della migliore tradizione cantautorale inglese (e americana).
La forza di quel disco stava nella sua eterogeneità, nella capacità di variare di continuo stile e registro, passando dalle eruzioni lo-fi ( nel senso più letterale del termine) ai passaggi acustici con una naturalezza quasi beatlesiana, e con la capacità altrettanto beatlesiana di eccellere su ogni fronte. Uno dei dischi più belli del 2000, almeno a detta di chi scrive.
Dopo quel folgorante esordio, però, è come se Gough avesse deciso di impiegare un numero sempre minori dei colori che la sua immensa tavolozza gli metteva a disposizione, incamminandosi verso una prevedibile maturazione artistica fatta di arrangiamenti barocchi e colti e rinunciando alle asperità da una parte, agli scenari sonori più nudi e fragili dall'altra.
Non che si tratti di un brutto disco, anzi: come dicevamo in apertura la scrittura di questo songwriter inglese resta ben sopra la media (inter) nazionale e il disco regala momenti, episodi, davvero folgoranti: dal pop anni '70 leccatissimo di "Long Way Round", che quasi lambisce i confini dell'easy listening, alla perla agrodolce "Degrees Of Separation", passando per la filastrocca pop (una specialità di Badly Drawn Boy) "Journey From A To B".
L'avesse scritto un altro, questo disco, sarebbe stato un mezzo capolavoro, ma da Gough, perdonateci, ci aspettiamo qualcosa di più.
Tweet