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R Recensione

8,5/10

Cat Power

You Are Free

Si è detto di tutto per attribuire alla figura del gatto levatura adeguata a rappresentare degnamente la grandezza di Charlyn “Chan” Marie Marshall. Che si tirino in ballo gli intelletti più notevoli, le civiltà antiche, le culture del misticismo o addirittura quelle della magia, resta il fatto che il moniker Cat Power, condizionatamente, riconduce ad immaginari fanciulleschi quando non addirittura banali, alimentati da ricordi di pappe puzzolenti e vaschette-gabinetto sul balcone di casa.

Ebbene, lungi da me l’associare tali immagini ad una delle più grandi Artiste che abbiano cavalcato la cuspide del millennio. Molto più appropriato (e onorevole) sarebbe decantare le note ed affascinanti caratteristiche del felino: bellezza altera e sguardo magnetico, carattere schivo, notturno, indipendente, fare indifferente al limite dello snob. Tutti attributi che alla cattiva ragazza di Atlanta si assocerebbero senza fatica. Eppure…

Eppure sì, c’è anche un senso di familiarità, di rifugio, di intimo tepore nel distillato immortale dell’opera di Chan Marshall. C’è l’epica dell’esistenza confezionata in formato domestico, privato, intimo.

Cresciuta nel circuito post grunge dei cantori dimessi, inquieti e malinconici e pur impressionanti nella loro capacità di mettersi a nudo (Smog e Will Oldham su tutti), Chan Marshall ebbe la meritata fortuna di essere  coadiuvata fin da subito da musicisti d’eccezione: Tim Foljahn dei Two Dollar Guitar e Steve Shelley dei Sonic Youth (suoi “scopritori” casuali ad un concerto di Liz Phair) nei primi lavori e nello straordinario What Would The Community Think (1996); Jim White e Mick Turner dei Dirty Three nel “perfetto”, fondamentale Moon Pix (1998) ed i noti, inevitabilmente discussi, Dave Grohl ed Eddie Vedder (più il terzo Dirty Three Warren Ellis) in questo “definitivo” You Are Free.

Una trilogia di album che, con buona pace della critica, rappresenta l’insieme dei suoi capolavori.

 Il fatto che dopo Moon Pix siano serviti alla Marshall ben cinque lunghi anni per uscire con un nuovo album di inediti è sintomatico di un certo smarrimento, umano prima ancora che creativo, dovuto da un lato alla responsabilità dovuta al riconoscimento pubblico del suo genio, in cui lei stessa non credeva (I’m not an artist, I’m a simple person), dall’altra alla consapevolezza (indotta dai disastrosi tour che da sempre l’hanno contraddistinta, fra smarrimenti mnemonici e deliri alcolici) di non riuscire a trasporre nella dimensione live quello stesso gusto intimo ed appassionato per la sua attività. Ma se una tale attitudine “privata” poteva non soddisfare gli avventori dei concerti, è anche vero che proprio in limiti di questo tipo si è resa palese la sincerità esposta e senza filtri della cantante, incapace di atteggiarsi a diva o ad icona di un qualsivoglia movimento generazionale o ideologico, quanto puramente Artista nell’estrinsecare il proprio io attraverso il linguaggio della musica e dell’interpretazione vocale.

 Un album quale The Covers Record (2000) sembra assumere, alla luce di queste riflessioni, le vesti di una sorta di ricerca su sé stessa, sulle proprie capacità e sui propri eventuali limiti, fattisi mai come in quel momento pericolosamente probabili. Come la vittima di un’amnesia che cerca nel proprio bagaglio indizi dell’identità perduta, Chan Marshall affronta e scandaglia il suo background musicale mirando al recupero della propria essenza ed alla riconquista di quella libertà fuggevole (e fondamentale) di saper esistere in quanto semplicemente sé.

 Frutto e mezzo del suo ritrovarsi è You Are Free, che non a caso si apre con la esplicita (a partire dal titolo) I Don’t Blame You, lettera-canzone indirizzata a Kurt Cobain:

 […] You were on stage […] they wanted to hear that sound that you didn’t wanna play […] Just because they knew your name doesn’t mean they know from where you came.

 Fin troppo evidente il riferimento ai travagli che portarono alla rovina il leader dei Nirvana e che, evidentemente, la Marshall sente propri: una popolarità “diversa” da quella immaginata e desiderata, in balìa di un pubblico percepito estraneo, avido nel pretendere il prodotto dell’uomo quanto disinteressato all’esistenza dell’uomo stesso.

 You Are Free, destinato a segnare da una parte l’apice del suo linguaggio, dall’altra l’inevitabile punto di non ritorno che l’avrebbe poi onorevolmente precipitata verso dimensioni più propriamente riconducibili all’ambito della “normalità”, rappresenta in un certo senso una indefinita svolta verso il formato canzone più convenzionale e verso lidi in assoluto più pop. Dismessi i panni sporchi e sfilacciati del passato, Cat Power mette insieme una serie di canzoni non più figlie di “quel” periodo musicale, ma semplicemente fuori dal tempo. Forme più concise ed aderenti ai modelli della tradizione americana, al punto che potrebbero essere state scritte cinquant’anni fa. Lascito questo, facilmente riconducibile anche all’esperienza di The Covers Record.

Gli arrangiamenti si fanno meno glaciali, più articolati, quasi complessi a tratti ed in generale decisamente più colorati. Persino quando è uno strumento solo ad accompagnare la voce di Chan, è sufficiente il suono, divenuto rotondo ed avvolgente - complice la mano di Adam Kasper (già ingegnere del suono di band quali Queens Of The Stone Age, Foo Fighters e Pearl Jam) - a rendere sorprendentemente calde le atmosfere.

Con questo non bisogna pensare che You Are Free sia un disco ammiccante, in cui le peculiarità dell’artista siano state sacrificate ad una più vasta commerciabilità. Tutto il fascino di Cat Power si è semplicemente condensato in gemme meno grezze ma in qualche modo più luminose. Come i diamanti dopo la lavorazione. Sottolineando comunque che la perfezione non è di questo (di lei) mondo, e che dunque l’asprezza acerba ed indefinita dell’animo inquieto riluce ancora con tutta la sua veemenza sotto la veste elegante in cui si è avvolta.

I Don’t Blame You è la fragile, commovente voce della Marshall che insegue sé stessa fra pochi, diluiti ma decisi accordi di pianoforte. Nient’altro. Eppure l’impressione è quasi quella di una band al completo.

L’inganno del molto dal poco è una costante praticamente di tutto l’album. E se è vero che la Marshall è sempre e comunque riuscita ad imporre il suo songwriting  e la sua interpretazione sulla pur sublime qualità degli strumentisti al suo seguito, sorprende in ogni caso che in You Are Free elementi quali la batteria di Dave Grohl ed ancor più la voce arcinota di Eddie Vedder  (appena accennata nella disperazione amorosa di Good Woman, fondamentale invece nel duetto conclusivo della insistita, glaciale Evolution) assumano un carattere mai predominante, alla stregua di onorevoli turnisti. Una vera e propria trasfigurazione dei due entro la dimensione schiva di questa giovane donna. Un mondo di insicurezza, sensuale ed avvolgente quanto soffocante e contagioso nella sua incontrastabile fragilità.

 Chi invece, in questi deserti, traccia linee di meravigliosa bellezza riuscendo a farsi indubitabilmente riconoscere è il violino dei Dirty Three Warren Ellis. È lui, valore aggiunto all’arrangiamento d’archi di David Campbell, che eleva il disperato amore di Good Woman tanto in alto da indurre alla vertigine qualsiasi sensibilità. Stesso ruolo fondamentale rivestito in Werewolf, cover del country blues bi-accordo di Michael Hurley, già proposta live in versione chilometrica e ridotta qui a quattro minuti di archi-chitarra-voce di struggente splendore.

Ancora accompagnamenti minimali di sola chitarra caratterizzano Fool, Babydol (screziata da impercettibili feedback elettrici) e Half Of You (timidamente tintinnante di percussioni), brani che, nel loro precipitare note verso il basso, paiono più volte evocare il canto di Hope Sandoval. L’arpeggio elettrico di Keep on Running è l’unico appiglio attraverso cui la cover ribattezzata di John Lee Hooker (Crawlin’ Black Spider) può resistere alla fascinazione esoterica che pervade la voce.

La paralisi indotta dall’orrore di Names, abusi su minori recuperati fra i ricordi della stessa Cat Power, e la denuncia lucida, scevra da ogni melodrammaticità, reiterata (e doppiata dal baritono sussurrato di Vedder) di Evolution sono miscelate con il solo, vitreo pianoforte, allo stesso modo (o all’opposto) della speranzosa Maybe Not.

Le cose cambiano nella title track, sorta di elettrico inno freak, imbastito sulla reiterazione di un riff di chitarra rubato ai Talking Heads e giocosamente incastrato in una drum machine basilare quanto efficace. Il disequilibrio e il movimento dato dalle pulsazioni in levare, insieme con tutta una serie di comparse stravaganti che vanno da fraseggi doorsiani ad echi della new wave più minimale, segnano uno degli arrangiamenti più articolati dell’intero album.

“Ricche” di strumenti sono anche la grunge low-fi Speak For Me, con Grohl che si cimenta anche al basso, la movimentata He War, figlia del chitarrismo indie di derivazione Guided By Voices e l’anomala e quasi jazzy Shaking Paper, vortice di feedback strapazzati e sorretti da un giro di basso che porta dritto ai Jane’s Addiction più romantici.

 Priva delle possibilità tecniche di Laura Nyro o di Joni Mitchell, lontana dall’attitudine impegnata di Ani DiFranco e dalla virulenza di P.J. Harvey, incapace del carisma della poetessa rock Patty Smith, Cat Power trova forse il riferimento più vicino nell’intimismo straziante di Lisa Germano. Ma è miracoloso come la cantante di Atlanta riesca ad eludere ogni modello per elevarsi a modello lei stessa, padrona di una voce spesso incerta, flebile e barcollante, eppure sempre pregna di straordinario pathos. 

Miracolo di equilibrio e album fra i più belli di questo nuovo millennio, You Are Free nasconde nel titolo buona parte del suo significato. È un canto di libertà che vuole infondere coraggio, ma che, continuamente, teme di non riuscirci. È l’essere in bilico fra il bisogno di invocare aiuto ed il desiderio di non averne bisogno. È una dichiarazione (richiesta?) di indipendenza e la legittimazione eroica dei propri limiti.

Hemingway non è poi così lontano. Non più del gatto di casa. 

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Voto degli utenti: 8,1/10 in media su 19 voti.
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sarah 8/10
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4AS 8/10
gramsci 7,5/10

C Commenti

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sarah (ha votato 8 questo disco) alle 13:46 del 21 aprile 2010 ha scritto:

Recensione sublime, gran disco....

salvatore (ha votato 9 questo disco) alle 14:10 del 21 aprile 2010 ha scritto:

Secondo solo a moon pix, suo capolavoro. Con Lisa Germano, sicuramente l'artista più ineteressante di questi ultimi anni.

Ps. L'altra sera ho visto "un bacio romantico" di wong kar wai (bello ma non all'altezza dei film precedenti del regista) e quindi la particina di Chan Marshall. In 3 minuti lascia il segno...Continuo a chiedermi perchè il regista non abbia scelto lei come protagonista al posto di Norah Jones

target (ha votato 8 questo disco) alle 20:23 del 21 aprile 2010 ha scritto:

Mostruosi, sia il "Potere del Gatto" che quello del Gazzola.

treno (ha votato 7 questo disco) alle 14:04 del 23 aprile 2010 ha scritto:

Una scoperta estiva che ha fatto mi ha accompagnato in una lunga vacanza anglosassone...

lei è sensuale e l'ho sempre vista come uno strano tipo. Il disco è davvero buono, ma forse un pò troppo lungo..

simone coacci (ha votato 9 questo disco) alle 15:01 del 23 aprile 2010 ha scritto:

Album da collezione, interprete adorabile e recensione che li valorizza entrambi come meglio non si potrebbe.

fabfabfab (ha votato 9 questo disco) alle 15:32 del 23 aprile 2010 ha scritto:

Mamma mia che disco.

gull (ha votato 9 questo disco) alle 15:47 del 23 aprile 2010 ha scritto:

Mamma mia che donna!

Peccato che dopo questo splendido disco si sia un pò "normalizzata" perdendo parte del pathos che la contraddistingueva. In ogni caso, insieme a "Moon pix" il mio preferito di una delle mie preferite.....

4AS (ha votato 8 questo disco) alle 13:00 del 6 maggio 2010 ha scritto:

Ottimo disco e ottima gnocca.

simone coacci (ha votato 9 questo disco) alle 15:06 del 6 maggio 2010 ha scritto:

RE:

ihihih..quando si dice parlare chiaro.

hiperwlt (ha votato 8 questo disco) alle 14:13 del primo giugno 2010 ha scritto:

disco sublime: la voce di Chan Marshall, con quella sua particolare timbrica insieme intensa e fervente, si anima e gioca con notevole disinvoltura tra arrangiamenti tanto "semplici" quanto funzionali. una perla dietro l'altra: le mie preferite sono "free", "he war", "shaking paper" e "maybe not". 8.

Filippo Maradei (ha votato 9 questo disco) alle 19:52 del 11 giugno 2010 ha scritto:

Disco da incorniciare: contemplare signori, più che ascoltare. Grandissima recensione Paolo

ThirdEye (ha votato 8 questo disco) alle 4:23 del 21 marzo 2012 ha scritto:

Bello. Ma il mio preferito di lei resta What would The Community Think.

inter1964 (ha votato 7 questo disco) alle 18:31 del 22 maggio 2012 ha scritto:

Ottimo (voto 7/ anche se un gradino sotto il precedente Moon Pix