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R Recensione

7/10

Ila Rosso

La bellapresenza

Cantastorie, disoccupato, laureato in fisica. Così si descrive sul suo sito Ilario Rosso, arrivato oggi al primo disco solista dopo una lunga gavetta iniziata nel 1992, che l’ha portato, tra esperienze e collaborazioni diverse, alla realizzazione di questo La Bellapresenza per l’etichetta torinese INRI.

Un disco che si inserisce in quella tradizione della canzone d’autore che si rifà in parte alla scuola francese, e che usa spesso e volentieri l’arma dell’ironia per parlare del presente senza risultare pesanti e pedanti. L’esperimento riesce alla perfezione in alcuni brani in cui Ilario si diverte a farsi beffe della realtà circostante, prendendo di mira tipi sociali (il “figlio di papà”, certi giovani finto alternativi), comportamenti (il clubbing esasperato del divertimento forzato) e realtà purtroppo diffuse del nostro paese (la situazione delle periferie, la corruzione).

Potrebbero venire da un testo di Brassens i poliziotti che vanno a prostitute descritti nel brano La bellapresenza, dove Ila Rosso mette alla berlina con semplicità, e senza la prosopopea dei cantautori “alla Savonarola”, il mondo comune delle falsità e dei finti moralismi.

In Città espansa, una ballad impreziosita da violino e violoncello, con un’ottima tromba jazzata, troviamo invece la descrizione della periferia (la cosa più brutta che ci sia) con i suoi lampioni spenti e i sabati passati al centro commerciale. Spicca il featuring del rapper Dargen D’Amico, a dimostrazione, se ancora ce ne fosse bisogno, che la canzone d’autore oggi è anche, e soprattutto, il rap.

Il lato più ironico e sarcastico di Ila Rosso lo troviamo nel rock di Il “figlio di papà”, un testo splendido su chi, alla soglia degli enta, dopo essere stato delinquente e punkabbestia, chiama il papi per risolvere la situazione, e trovare così un posto in banca. Brevissima e perfetta descrizione di un tipo sociale che tutti almeno una volta abbiamo incontrato.

L’ironia di Rosso colpisce I giovani, stretti in un mondo tra realtà quotidiana e mancanza di futuro, in cui l’Erasmus diventa un modo per rimorchiare, così come gli adulti e la società post industriale (dove c’è chi è costretto a farsi per tenersi a galla), raccontata in La falla, uno swing colorato dal piano jazz ed una splendida la tromba, un brano musicalmente perfetto, con un testo acido e sarcastico. Non sfuggono alla penna del cantautore torinese la Francia, con i suoi punti forti (o luoghi comuni?) fatti di Provenza, rochefort, pastisse, champagne, cognac, bon ton, Brigitte Bardot, Alain Delon (sto stato che mi ha abbandonato e l’abbandonerò, revolution de me cojon) e il maschio benpensante ma in realtà represso e forse anche vittima del femminismo (non basta a consolarmi nemmeno la tv, mi meno forte il membro e non ci penso più) dipinto nella swingante L’onanista.

Ma altrettanto riusciti sono i brani dove Rosso si fa più serio, come nella splendida Fiori di campo, un testo altamente lirico, forse uno dei migliori del disco, impreziosito dagli archi, o in Alla mattina, un tango appoggiato sui suoni del piano e del violoncello, che ricorda a tratti il primo De André per la costruzione del testo, ma anche il Capossela più ispirato, o ancora nella scura Irpinia, dove sui toni cupi del violoncello ci racconta una storia che parte del terremoto dell’80, con i container, i soldi sprecati in tangenti, l’esibizione del dramma nei mass media, e arriva agli scandali del bel paese (uno al mese) e alle stragi di stato, con le loro verità sepolte per sempre nei processi.

Non manca infine una stoccata al mondo del clubbing torinese nella bonus track in cui se la prende con l’evento Club To Club, ironizzando sul mondo delle discoteche e del divertimento forzato (per tirare tardi e far mattino, meglio la chitarra e un po’ di vino).

Con le radici ben piantate nella canzone d’autore (lui dice di rifarsi addirittura ai cantori medievali) e lo sguardo attento al mondo musicale circostante (il disco è stato registrato e missato da Gigi Giancursi e Cristiano Lo Mele dei Perturbazione) Ila Rosso ci racconta con sarcasmo una realtà fatta di finto moralismo, dove ciò che conta è salvare l’apparenza (la fede in pubblico e le puttane in privato: ricorda qualcuno?) affondando il coltello dell’ironia nel ventre molle del nostro paese.

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Voto degli utenti: 7/10 in media su 1 voto.
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C Commenti

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TexasGin_82 alle 12:52 del 29 marzo 2012 ha scritto:

Interessante, sincero, bravo. Assolutamente scuola De Andrè, che viene in mente dopo 5 secondi che si ascolta il testo di una qualsiasi delle canzoni dell'album.