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R Recensione

4/10

Josephine Foster

Graphic as a Star

Ci eravamo quasi innamorati di lei dopo averla scoperta (in ritardo) con l’album This coming gladness, incantevole intreccio di soul, folk e psichedelia bucolica. Un art-free-folk che incantava per la spiritualità astrale dell’americana, che giocava furbescamente con atmosfere tipiche dei ‘70s riuscendo a mantenere corposità e concretezza sonora. Graphic as a star, diciamolo subito, non regge francamente il confronto con le opere precedenti. Rispetto all’ultimo disco abbandona ogni registro psichedelico e in generale ogni attenzione per le parti prettamente strumentali, solide e concrete. I ventisei brani che compongono l’album infatti si dividono quasi a metà tra composizioni unicamente vocali e altre in cui l’unico accompagnamento è dato da una chitarra acustica e, in rari casi, da un’armonica scopiazzante Bob Dylan e Neil Young (ad esempio She sweeps with many-colored brooms).

In primo piano quindi la sublime voce e soprattutto le liriche, rielaborazioni personali tratte dall’opera della grande poetessa americana Emily Dickinson. Il risultato è che la Foster giunge ad alcuni risultati appassionanti, come il folk scarno, essenziale ed ammaliante di brani come In falling timbers buried, I see thee better in the dark, Heart! We will forget him, Whoever disenchants e una manciata di altri: piccoli bozzetti artistici in cui si riesce a mantenere un equilibrio tra aspetto vocal-lirico e struttura musical-strumentale. Duole però ammettere che la gran parte dell’opera, pur essendo raffinatissima ed elegante per ciò che concerne il primo aspetto, non riesce ad esserlo altrettanto per il secondo.

Tutta la trafila di brani vocali privi di strumentale saranno sì estremamente poetici, trasformando la Foster in una ninfa mitologica assai vicina al modello cantoriale medioevale, ma suonano soprattutto estremamente stucchevoli nella loro essenza idillico-fricchettona tipica della generazione dei fiori (non a torto si è tirato fuori il paragone con Joan Baez). Con risultati che sulla lunga distanza arrivano quasi a disturbare fisicamente l’ascoltatore, turbato dall’insopportabile misticismo astratto di una qualsiasi Wild nights – wild nights!.

Purtroppo la verità è che la Foster con quest’opera offre un risultato assai povero musicalmente, buono più che altro per amanti della poesia americana, e in particolare per ammiratori della Dickinson. Graphic as a star ricorda un po’ la collaborazione tra Kevin Shields e Patti Smith nel recente The coral sea (2008): stessa esagerata preminenza lirica su quella musicale, che lì perlomeno manteneva una certa dignità di fondo, restando costante sfondo sonoro alla lettura dei testi.

Probabilmente è comunque ancora una volta colpa del sottoscritto, incapace di apprezzare un prodotto così squisitamente astratto e fuori dalla realtà. Da cupi materialisti storici si rincorre quel vecchio motto di Adorno per cui (parafrasando un pò) nella condizione umana moderna sia davvero assurdo riuscire a fare ed apprezzare vera poesia.

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Voto degli utenti: 5,6/10 in media su 5 voti.
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Tizio 3/10
target 5/10

C Commenti

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faserem77 (ha votato 10 questo disco) alle 15:41 del 7 aprile 2010 ha scritto:

Chi a scuola non ha mai dovuto scrivere il pensierino sul proprio animale preferito? Molti amano il cane perché è affettuoso e simpatico, molti il gatto perché misterioso e libero, molti il cavallo perché nobile e veloce, altri il leone coraggioso, altri ancora il delfino intelligente. A me è sempre piaciuta la giraffa. La giraffa è stramba, goffa e fuori taglia. Ha colori accesi, cornetti da alieno, mangia le foglie più alte degli alberi e dimostra il proprio affetto intrecciando il collo sul collo di un’altra giraffa. Al tempo stesso è molto elegante e a dispetto delle tante bizzarrie è riuscita a ritagliarsi un proprio spazio nella savana. Per me Josephine Foster è una giraffa, merita protezione e richiama la mia meraviglia.

Credo che il confronto con l'album precedente non regga semplicemente perchè sono due lavori che hanno ben poco in comune. In "This Coming Gladness" Josephine Foster canta canzoni (canzoni) di propria composizione, "As Graphic As A Star" è invece un concept in cui espone poesie (poesie) di Emily Dickinson, non è tanto ragionevole fare paragoni. Sarebbe come dire che Calvino aveva una scrittura più ispirata nelle Città Invisibili piuttosto che nella guida alla lettura dell'Orlando Furioso (eh, possiamo discuterne ma tante grazie).

La struttura dell'album prevede che alcune poesie siano trasformate in vere e proprie composizioni con una trama musicale e che altre vengano semplicemente recitate, a mo' di intermezzo (le poesie recitate non superano il minuto, per fortuna aggiungo io). Peraltro la Foster non è nuova a questo tipo di lavori un po’ ostici, sospesi tra il naif ed il colto: in "A Wolf in Sheep's Clothes" rielaborava arie di Schumann e Schubert accompagnandole con assoli di chitarra elettrica e con liriche di poeti romantici tedeschi.

Tra le poesie cantate ci sono dei veri gioiellini folk, da "Trust in the Unexpected", che apre allegramente l'album, ai citati “She sweeps with many-colored Brooms” o “My Life had stood a Loaded Gun” (nei quali in effetti è evidente l’influsso American-roots di Dylan, d’altronde Emily Dickinson è American-roots al pari di un Huckleberry Finn o di un abitante di Spoon River), dalla distesa“Tho' my destiny be Fustian” all’elegante “The Spider holds a Silver Ball”. Spicca verso l’inizio “They called me to the Window”, toccante per il suo essenziale accostamento tra scarni accordi di chitarra e gorgheggi fuori dallo spazio e dal tempo. Sarebbe un’ottima canzone da film, mi auguro che qualcuno ci pensi.

Fuori dallo spazio e dal tempo, si diceva. E’ quello che sento dire più spesso quando sento parlare della Foster. Così spesso che sta iniziando a diventare un luogo comune, per quanto motivato. Lo stesso luogo comune che aleggia da secoli su Emily Dickinson: ok, è la mia poetessa preferita ma sfido chiunque a leggere la sua biografia e a dire che non fosse molto freak. Riusciva a trasformare in poesia anche le voci dell’Enciclopedia di casa. Poteva parlare di mete esotiche, di dive del teatro, di ingranaggi meccanici, pur non spingendosi al di là del giardinetto davanti casa. Vista questa sorellanza spirituale, è comprensibile che Josephine Foster ne sia rimasta affascinata.

Tornando a noi, sinceramente non ho ancora capito se la Foster sia ingenua o raffinata. Le volte che sono andato a sentirla dal vivo non sono servite a chiarirmi il dubbio, ma forse mi fa piacere che il dubbio permanga, perché tutto sommato non si pone mai in modo spocchioso. Può piacere come anche no, con quella vocetta, i gusti sono gusti.

faserem77 (ha votato 10 questo disco) alle 15:42 del 7 aprile 2010 ha scritto:

(Scusate la lunghezza, e poi io gli spazi tra una frase e l'altra ero andato a capo!) )

Lezabeth Scott alle 15:50 del 7 aprile 2010 ha scritto:

RE:

Scherzi? Magari tutti gl'interventi fossero così interessanti e belli da leggere. Condivisibili o no. Ti dirò: scrivi più spesso.