R Recensione

8/10

Josephine Foster

This Coming Gladness

In tempi di digitalizzazione della musica fa quasi scalpore scoprire che più di un sintetizzatore o di un computer può fare molto più male una voce. Una voce umana. Femminile per la precisione. Perché se è vero che a cercare le porte della percezione si sono prodigati fior fior di ometti di un certo livello è altrettanto vero che quando si vuole rappresentare l’immagine di un candore sublime e celestiale (il paradiso insomma) non si riesce a non pensare a un canto angelico di stampo mariano, caldo, religioso ed evocativo.

Josephine Foster è tutto questo, e va ad affiancarsi alla nutrita schiera di cantautrici che affollano questa decade. Giunta al quarto disco l’americana raggiunge il proprio apice sfiorando un capolavoro assoluto di soul e folk. La formula, come detto è molto semplice: acuti vocali fulminanti e un accompagnamento leggiadro ma non banale. Attorno alla propria imponente voce la Foster costruisce un piccolo castello fatto di torrette psichedeliche, giardini bucolici con fontanelle sgorganti acido lisergico, levigati muri di noise al cui interno ritroviamo un piccolo stormo di abitanti acconciati in stile hippy ‘70s.

E non si può fare un accenno al fatto che tutto questo bel panorama venga inzuppato da capo a piedi di quel freak folk che tanti adepti ha prodotto in questi anni (Devendra Banhart, Joanna Newsom, Akron/Family, ecc.).

È questa probabilmente l’impressione che prima delle altre balza subito all’occhio: quella di ritrovare (A thimbleful of milk) lo spirito incarnato di Vashty Bunyan e del suo folk etereo, idilliaco ed essenziale. Lungi però dal ripetere la formula in maniera certosina e alla lunga probabilmente noiosa la Foster vi accompagna formule diverse e interessanti: l’innesto di sfumature psichedeliche squisitamente ‘60s (Jefferson Airplane, Grateful Dead) in The lap of your lust, o l’aria leggermente cosmico-spaziale che pervade la chiusura di Indelible rainbows.

La struttura più consolidata che si riscontra nel disco è però quella di canzoni che partono in sordina, austere e dimesse in cui il cantato sacro e aulico crea un’atmosfera di quiete e di idillio. Senza rimanere imprigionati in un esercizio stucchevole e monotono i brani riescono ad evolvere aumentando l’intensità e introducendo elementi sonori aspri e tetri tramite un sapiente uso del feedback sotterraneo e di un leggero noise tendente a una psichedelia acida e vorticosa, creando un effetto straniante dovuto al forte contrasto che viene a formarsi tra due anime opposte.

Il risultato è una serie di composizioni del calibro di The garden of earthly delights, I love you & the springtime blues, Second sight. O come Waltz of green: folk scarno e freak in cui le note sembrano ripiegarsi su loro stesse prima di sbocciare con forza e cadere a grappoli da alberi d’acqua gemmata. Immagini di intrusioni elettriche e ascese sofferte prima che il fiore musicale così venuto alla luce si richiuda dolcemente in sé stesso.

Prima di parlare della song-capolavoro del lotto (All i wanted was the moon) occorre però sottolineare la varietà di schemi emergente almeno in un paio di occasioni: la Foster diventa vibrante e sfuggente nella free ballad Lullaby to all (in cui strizza l’occhio al jazz e all’avant-pop), estrosa e intima nel free-folk oriental-psichedelico di Sim nao.

E arriviamo a All i wanted was the moon, gioiello posto in maniera sintomatica a metà album, esattamente, cioè, al centro dell’attenzione: la chitarra d’accompagnamento poggia su un giro elementare eppur efficacissimo mentre Josephine stranamente sussurra, forse al vento, forse al cielo. Le chitarre quasi incredule di tanta varietà di manovra prendono corpo e vanno allora ad occupare gli spazi lasciati liberi dalla diminuzione d’intensità vocale. Compare una fisarmonica alla Neil Young, e poi un sublime intreccio tra feedback e chitarre semi-acustiche evocanti i Galaxie 500. E si ha l’impressione che si raggiunga un perfetto equilibrio tra ballad-folk, noise, psichedelia e soul. E si pensa di essersi innamorati di Josephine Foster.  

V Voti

Voto degli utenti: 6,5/10 in media su 4 voti.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
rael 5/10
REBBY 6/10

C Commenti

Ci sono 2 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

REBBY (ha votato 6 questo disco) alle 17:15 del 9 novembre 2008 ha scritto:

Mi piace Indelible rainbows.

simone coacci (ha votato 8 questo disco) alle 17:20 del 28 dicembre 2008 ha scritto:

Josephine è un genio. Questo disco è geniale. Al nono posto nella mia top ten. Applausi.