R Recensione

8/10

Lisa Germano

Magic Neighbor

Ci sono dischi di cui parlare è un dovere. Per altri, invece, è un piacere che non sai bene quanto e con chi potrai condividerlo. Poi ci sono i dischi di Lisa Germano. E i distinguo vanno alle ortiche, le categorie a farsi benedire. Perché questa bambina di 51 anni (mi perdonerà l’ardire, la Lisina, tanto l’anagrafe è solo stampa che ingiallisce in un cassetto, come la vanità di certi formalismi), questa “Marypan” riesce ogni volta a trasportarci con lei, in pochi attimi, sull’isola del pop che non c’è.

È un percorso unico, che non teme confronti, né imitazioni, quello in cui s’è addentrata, sperduta e solitaria, questa “Cappuccetto Rosso” di Milshawaka, Indiana, nell’arco degli ultimi vent’anni. Un sentiero che attraversa il bosco del suo corpo. La dolorosa accettazione che i sensi eterei e fantastici dell’infanzia siano stati sconvolti per sempre dall’inevitabile destino carnale della donna adulta. Coi lupi che mordono da tutte le parti e i fantasmi di un’innocenza obliata che può appartenere soltanto ai folli e ai santi. E qualche volta ai musicisti.

Con Magic Neighbor giunge così a compimento la trilogia realizzata sotto l’egida della Young God del taumaturgo Michael Gira (fondamentale nel far tornare a Lisa la voglia di rischiare in proprio quando, dopo anni di delusioni e di guadagni precari, sembrava decisa a rimettersi a fare la turnista a tempo pieno o la bibliotecaria part-time) cominciata nel 2006 con In The Maybe World e proseguita l’anno successivo con la ristampa di Lullaby For A Liquid Pig (in realtà del 2003) che dopo essere stato abbandonato al suo destino dalla vecchia casa discografica diventerà uno dei suoi dischi di maggiore (anche se pur sempre relativa) notorietà.

Una trilogia che coincide con il laborioso raggiungimento della sua maturità artistica e con il pieno conseguimento di una forma (anti)pop da camera fatta di folklore introverso, minimalismo per piano, classica lillipuziana, texture sperimentali e perturbanti. Il tutto distillato con un essenzialità estrema (undici canzoni per poco più di mezz’ora di musica), arrangiato in chiave surreale e fiabesca, arricchito da esiziali tocchi di genio, variazioni appena percettibili, invenzioni estemporanee (come il fade che tronca all’improvviso la conclusiva Cocoon all’apice del suo crescendo).

Apre, deliziosa, Marypan briciola strumentale di un ipotetico tema disneyano sulla versione queer di Peter Pan. To The Mighty One, dedicata all’amato gatto Lou uscito vittorioso dalla battaglia con un brutto male, commuove con la sua intro spettrale per organo e voce smangiata dai flanger per dare forma onirica ad un inciso classicheggiante, Simple alterna brillantemente parti di chitarra al metadone da post grunge acustico a minuetti da camera di cui sono la logica prosecuzione Kitty Train e soprattutto A Million Times, valzer campestre con psico-rumori in sottofondo (come un fantasma che picchia sui tasti arrugginiti di una vecchia macchina da scrivere), approdando sfocato ed ipnotico nella splendida title-track.

E poi ancora: Suli-Mon, piccola danza ctonia per intimissimo guardaroba da camera (piano, contrabbasso, violoncello, triangolo), una filastrocca screziata di sberleffi di esseri fatati e silvestri; Snow che è una sorta di carol natalizia con punch affogato al valium; e una perla dream-(chamber)pop come Painting The Doors, coi suoi echi, i suoi riverberi e i suoi sismici rintocchi di basso.

Sperimentale ma senza affaticare l’ascoltatore, criptica ma attenta a non privarsi del gusto della melodia, il pollice verde Germano sotterra un altro semino d’immane bellezza per quello che è, sono parole sue, “un disco positivo, un disco che cerca la felicità nonostante tutta la merda che c’è nel mondo. Tutto qui, amici miei”. Capito?

LINK:

Sito Ufficiale: http://www.lisagermano.com/

V Voti

Voto degli utenti: 7,5/10 in media su 2 voti.
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