Paul Simon
Graceland
Quel genio di Paul Simon, da sempre, è follemente innamorato di due luoghi, o sarebbe meglio dire di due continenti, di due interi universi.
Ne respira le atmosfere, ne percepisce e subisce il fascino esotico, vive sulla pelle i loro umori e le loro asperità; forse perché nella musica non ha mai cercato certezze, standard, scuole di pensiero predefinite e immutabili, forse perché è sempre stato molto più ambizioso. Paul ama le prospettive globali dalla modernità, vive con passione lincontro fra popoli diversi e separati da millenni di storia, avverte nellaria il profumo di mutamenti epocali che non possono lasciare indifferenti, e rielabora il tutto, sempre nellottica delluomo occidentale di grande spessore culturale (Simon Reynolds, allepoca, parlava ironicamente di colonialisti premurosi; a posteriori possiamo dire che forse non aveva tutti i torti, quantomeno se prendiamo in considerazione il fenomeno world-music nel suo complesso, e non singoli autori di grandissima valenza).
Questi luoghi, così densi di significati e di storia, sono lAfrica e il Sud America: e Paul Simon li adocchia sin dagli albori della carriera, quando decide di cambiare per sempre il corso della popular music con lamico Art Garfunkel. Ascoltare per credere quella meraviglia andina che risponde al nome di El Condor Pasa, rielaborazione di un antico canto peruviano incisa già nel 1970 fra i solchi di Bridge Over Troubled Water; oppure il meno celebre There Goes Rhymin Simon, controversa pubblicazione del 1973, ove Paul si immerge nel repertorio del soul, del blues e della musica nera made in USA, traendone un lavoro affascinante ma poco calibrato e parecchio confusionario.
Incidenti di percorso: lamore sincero di Paul è comunque destinato a trovare una compiuta manifestazione, ma bisognerà attendere il decennio successivo, e in particolare lincontro con le sonorità del Sudafrica e del Brasile.
Perché è qui che nasceranno i due capolavori dellartista, salutati peraltro da un notevole successo commerciale: nel 1986 viene pubblicato Graceland, album registrato quasi interamente a Johannesburg con lausilio di innumerevoli musicisti e strumentisti sudafricani; quindi, nel 1990, ecco The Rhythm of the Saints, lavoro profondamente diverso che ammicca alla musica brasiliana, tanto nelle percussioni quanto nella dimensione liquida e impalpabile delle chitarre.
Ma torniamo a Graceland, compendio di musica del mondo che tuttavia riesce difficile assimilare in toto ad altri ad altri capolavori terzomondisti, ad esempio alle pubblicazioni coeve del sommo Peter Gabriel. Lex Genesis era ed è un sapiente miscelatore di sonorità e tradizioni differenti, uno sorta di chef che rielabora tutti gli ingredienti a disposizione per trarne qualcosa di inedito, una pietanza in cui le singole componenti risultano quasi irriconoscibili, un piatto dal sapore completamente nuovo.
Graceland è qualcosa di diverso: più semplice e lineare, forse, ma certo non meno affascinante e originale; Graceland è un disco ove Simon non resiste alla tentazione di scrivere ballate, nel rigoroso rispetto della tradizione folk che da sempre lo accompagna, salvo poi decidere di stravolgerne la quiete mediante percussioni, cori e sonorità di matrice africana. E così, inevitabilmente, finisce per rinnovare completamente la cifra stilista delle composizioni, finisce per donare loro una nuova vita. La tradizione bianca e quella nera, fra i solchi di Graceland, restano due realtà ben distinte e ben riconoscibili, che però si rincorrono a perdifiato, e forse si sfiorano (lì accade il miracolo!), proprio un attimo prima di far ritorno sui propri binari.
Per loccasione, per riuscire in questa sorta di fusione accattivante e sbilenca, Simon fa uso di unintera, bizzarra orchestra: in The boy in the bubble, ad esempio, la band sudafricana Tao Ea Matsekha costruisce paesaggi coloratissimi con percussioni e fiati, stravolgendo un inciso melodico quieto ed elegante, di chiarissima matrice simoniana.
I Know what i know sfodera un'altra melodia sincopata e immortale, accompagnata dai fraseggi vocali della medesima band africana di cui sopra, e da un ritmo incalzante ed irresistibile.
Under African Skies è la canzone più delicata del disco, vanta armonie vocali estremamente raffinate e sospese, ed è la definitiva dichiarazione damore di Simon per la culla dellumanità e le sue immensità ancora oggi inesplorate. Da menzionare il testo, costruito sulle immagini di un viaggio attraverso "le stelle dell'emisfero meridionale".
Imperdonabile sarebbe dimenticare Diamonds on the soles of her shoes, fra le composizioni più celebri di tutta la carriera di Paul, quasi un sunto del linguaggio coniato da Graceland: tutto nasce sulle note di un coro a cappella, ove timidamente si incontrano la voce candida e caustica di Simon e le corpose voci dellAfrica Nera (i Ladysmith Black Mambazo), nella rilettura di un pezzo originale in lingua zulu tradotto in inglese per l'occasione; quindi ecco una marea di percussioni tribali, mentre una chitarra ricicla senza sosta un semplice tema folk di stampo americano, costruito su cinque accordi, ed il tutto viene maestosamente soverchiato dallimmancabile sessione di fiati, in un tripudio di sonorità caldissime e colorate. Crazy Love è quasi un pezzo country rivestito dalle consuete percussioni memori dellafrica più oscura, e regala un tocco romantico al disco, laddove la title-track è il resoconto di un sogno, di un viaggio che prende vita sul delta del Mississipi e si chiude nella "terra della grazia", ove anche i più umili e gli ultimi ritroveranno la pace.
Graceland è un disco che sin dalla pubblicazione viene giustamente celebrato come capolavoro assoluto della world-music, come il risultato più alto delle stravaganze etniche degli anni 80, non solo per il coraggio e la lucidità dellautore, ma anche e soprattutto per la freschezza e la godibilità assoluta delle composizioni.
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