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R Recensione

8,5/10

Tom Waits

Blue Valentine

Mi manda lettere d'amore tristi.

Il Tom Waits migliore è quello che si inventa una forma di blues aerodinamica, strumentalmente sbilenca e genialmente prismica, incatramando le proprie corde vocali sino a negare ogni forma di musicalità. Siamo d'accordo.

Il Tom versione crooner romantico, con tanto di piano bar, jazz eccentrico e lenti blues della disperazione, non è però molto da meno. "I Hope I don't fall in love with you", "Martha" e compagnia cantante sono fulgidi esempi del suo melodismo brillante, appena disturbato dalle stranianti trovate che diverranno pane quotidiano negli anni a venire.

Ecco, il vertice di tutto il Tom Waits buono e umano è "Blue Valentine". Non è il suo lavoro più bello, senza dubbio. Ma è il più toccante. E' come un affare personale, si butta di ginocchia in un mondo popolato da anime perse, amori impossibili, pensieri in frantumi, notti insonni. Ancora una volta il genio californiano dà voce a chi non ne ha mai avuta, racconta la storia dei tantissimi nessuno del nostro mondo.

Il giorno di San Valentino non è mai stato così nero, eppure non si crogiola nel dolore: prova a liberarsene, si ostina a ricercare una via là dove non esiste. La fine di una storia, o peggio una storia solo immaginaria (perché la persona è nel fiore degli anni eppure, per un motivo o per l'altro, è destinata a rimanere irrangiungibile) possono fare più male di qualsiasi altra cosa al mondo.

In fondo a questi struggimenti inconsolabili, se scaviamo bene, ci troviamo un piccolo compiacimento: è la malinconia, la gioia di essere tristi, la siderale bellezza di ciò che non potrà mai avvenire. Si dice che uno sguardo sia il più terribile dei tradimenti. Soprattutto se non può andare oltre. Sembra nulla, e invece può strapparti le budella, chi l'ha attraversato ne è consapevole.

Tom Waits imprigiona quello sguardo rivolto verso l'impossibile dentro campate melodiche che piangono lacrime amare. Le sue piccole tragedie personali respirano come opere universali, come romanzi eterni.

Il pianoforte è il protagonista principale di queste suite, i generi di riferimento sono ancora a loro modo definiti: ritmo e blues, jazz da night club fumoso, poco altro. Per Tom Waits è più che sufficiente per creare le sue terribili storie d'amore senza storia.

"Blue Valentines" e "Christmas Card from a Hooker in Minneapolis" sono due gorghi senza fine, due serenate distrutte dalla malinconia, due blues turbinosi dominati dai vocalizzi teneri di Waits. Radiografie di storie derelitte, di persone lontane e di solitudini che nei momenti più dolci (San Valentino) diventano insopportabili. Un amore finito, lettere che marcano l'anniversario di una persona che non esiste più. E poi il resoconto di una puttana, che forse ha scoperto l'esistenza di qualcosa di diverso, e lo racconta al vecchio amante Charlie.

Altrove si intravede un Tom vampiresco e gutturale, che ricama racconti inquietanti dentro scenari blues distorti, quasi deturpati ("A Sweet little bullet"). Non mancano momenti in cui il suono sembra evaporare e tutto si gioca sulla teatralità orrorifica di Waits ("Red Shoes").

La celebre "Romeo is bleeding" è un sontuoso r'n'b, con tanto di splendido solo del sassofono. Tom grugnisce e declama dentro figure ritmiche più aggressive e marziali, demolisce la resistenza fisica dell'ascoltatore senza pudore.

"Somewhere", tratta da West Side Story, spiazza perché si immerge in uno scenario elegante e sontuoso, con tanto di archi solenni e di fiati sgargianti. Ma la voce di Tom degenera ulteriormente, ora aggressiva ora più affine al timbro relativamente candido delle splendide serenate di "The Heart of Saturday Night" o "Closing Time".

Lo struggente pianoforte di "Kentucky Avenue" accompagna un talking blues che evoca paesaggi interiori devastati. Il ritornello, che si gonfia arioso, è forse il vertice emotivo del lavoro, il che equivale a dire uno dei vertici di Waits tutto.

Verranno momenti musicalmente più alti, dicevo. Ma non sempre riempiranno il cuore come queste fragilissime lettere d'amore.

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Voto degli utenti: 8,4/10 in media su 14 voti.
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ThirdEye 7,5/10
Grind 9/10

C Commenti

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nebraska82 (ha votato 8 questo disco) alle 14:11 del 30 maggio 2013 ha scritto:

a me a dire il vero il primo waits piace forse più di quello maturo e "strano" da swordfish in poi ( un disco come bone machine l'ho sempre trovato inascoltabile, mentre rain dogs lo amo tanto) , pezzi come ol'55, grapefruit moon, romeo is bleeding sono forse quelli che preferisco.

Totalblamblam (ha votato 8 questo disco) alle 20:57 del 30 maggio 2013 ha scritto:

io non so credo che opterei per la sua seconda fase anche se la sola kentucky avenue vale una carriera. seconda fase che è il frutto quasi decennale della sua voglia di lasciarsi dietro l'immagine beatnick + randy newman che era diventata ormai per lui una zavorra.

FrancescoB, autore, (ha votato 8,5 questo disco) alle 11:09 del 31 maggio 2013 ha scritto:

La fase centrale, quella più eccentrica, è fighissima, ma in fondo io sono affezzionatissimo anche ai primi lavori, pur meno originali. Anche voi amate la terribile tenerezza di Blue Valentine, o sono l'ultimo romanticone rimasto?

Paolo Nuzzi (ha votato 8,5 questo disco) alle 14:04 del 14 gennaio 2015 ha scritto:

No, assolutamente. Il mio disco preferito in assoluto è Small Change, la catarsi in musica, un disco talmente dolente che rischia di diventare inaffrontabile, ma davvero poetico ed unico. Blue Valentine è il suo fratello minore, l'unica pecca è la produzione un po' troppo laccata, ma sticazzi è un disco immenso. la title track e Christmas card from a Hookwer in Minneapolis valgono intere carriere, per non parlare di Romeo is Bleeding e Red Shoes, per la quale ho un debole. Bravissimo, scrivi davvero da dio, complimenti, anche per i gusti

Utente non più registrato alle 17:08 del 7 giugno 2013 ha scritto:

I miei preferiti restano Closing Time, The Heart of Saturday Night, Nighthawks at the Diner, Small Change (Invitation to the blues è da brividi), Foreign Affairs, Blue Valentine, Heartattack and Vine.

Ma non disdegno Swordfishtrombones, Rain Dogs e Franks Wild Years.

Poi l'ho un pò trascurato.

classicsor (ha votato 8 questo disco) alle 14:50 del 11 agosto 2013 ha scritto:

Un diso eccezionale non cè dubbio, una delle fasi migliori di Waits, non il suo miglior lavoro, ma ... molto bello

the real me (ha votato 10 questo disco) alle 20:58 del 29 gennaio 2014 ha scritto:

c'è un bukowsy dolce che suona il piano e racconta storie nere, che spezzano l'anima. E' un disco di grande sentimento, il Tom waits di questo secondo periodo (76-80) è veramente ispirato. Il vinile poi gli rende giustizia. Consiglio a tutti di ascoltarselo sul giradischi.