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R Recensione

8/10

Verlaine

...e ti proteggerò dal jazz

È una lotta di cuscini al rallenty virata seppia, con le piume che sembrano non cadere mai. È una polaroid sgranata di un sorriso antico, ma ancora bianchissimo. È la colonna sonora del bacio all'Hotel de Ville di Robert Doisneau, ed è una sbornia, di quelle che non prendevi da anni perché le persone con cui volevi condividerla sono tornate solo oggi, e non per restare.

La sensazione non è soltanto di trovarsi di fronte a un disco importante, ma di stare assistendo al materializzarsi di un intimo miracolo: è già lampante dopo pochi secondi di Piccoli Trascurabili Errori, più che un’intro una promessa, un’entrata in scena di ticchettii dolci e archi soavi che pare un’alba ritagliata.

“…e ti proteggerò dal jazz” è il secondo album dei Verlaine, orchestrina scalcinata ad assetto variabile, di cui vi avevamo già parlato tre anni orsono, ai tempi di Rivoluzioni A Pochissimi Passi Dal Centro, esordio promettente ma non integralmente mantenuto, tuttavia fresco e godibile anche alle prese con la prova del tempo. Torinesi, di nascita o d’adozione, i Verlaine hanno potuto nuovamente contare sulla produzione puntuale, riconoscibile, ma mai invasiva, di Gigi Giancursi e Cristiano Lo Mele dei Perturbazione. Il resto del merito è tutto loro: il balzo in avanti rispetto all’esordio è un’acrobazia sontuosa tra le stelle, perché questo disco possiede una bellezza imbarazzante difficile da raccontare, un’ambizione involontaria propria di chi ha talento puro, uno slancio di poesia semplice circondata di grazia innata e non richiesta.

Si rincorrono, nell’ascolto, piccole grandi storie: di amore vissuto troppo intensamente, di abbandoni silenziosi, di alienazioni in altrove fatti di piccoli bar o grandi città all’estero, di bicchieri di troppo – alcool tema caro sin dal debutto – come rifugio comodo e ovattato. Le canzoni, in nessun caso meno che bellissime, stanno lì a raccontare. Respirare, virgolettata di violini, è il singolo scelto per presentare il disco e racchiude in sé i mood tipici della band: romantica ma rassegnata, dolce ma insicura e dolente. Ifiatinonsonosuonatidaenricogabrielli porta in dote, oltre al titolo geniale, contrappunti lievi di fiati, dissonanti col grido d’aiuto che intende lanciare. Dissonanza avvertita anche in Garrincha, recitata e poi cantata a due voci, e in generale tema portante dell’album, che, rispetto al più monocorde esordio, presenta una sorprendente varietà di contaminazioni e umori che non corrono mai parallelamente, incrociandosi, superandosi e inciampando più volte, in un affresco dotato di reale urgente forza espressiva tutt’altro che schematica, che anzi sorprende ad ogni curva.

Al di là di alcuni (necessari) divertissement – l’intermezzo di distorsioni 2007, l’impervia claudicante chiusura di Saluggia – i Verlaine mostrano classe cristallina nel gioco di vuoti e pieni, nelle entrate improvvise e stordenti di archi e fiati, nelle esplosioni mute e nei silenzi assordanti con cui dipingono la loro tela: Chetamina e Beaujolais (pugile pt. 2) è da pelle d’oca in tal senso. Daria, apparentemente più leggera, si dischiude piano rivelandosi bellissima, Gli Anni In Tasca (“gridavi Attraverserò  l'America e incontrerò Howe Gelb”), imperlata di pianoforti e ricami elettrici, è una giostra che ogni tanto va in tilt, come la vita.

Inestimabili le lacrime che sgorgano da Passare l’Inverno, frequenze disturbate, voci fuori campo, dilatazioni cinematografiche, finale fragoroso, e da Branduardi in Iran che, sottintesa la genialità dell’idea di base, tratteggia un concetto di disarmante semplicità con misurate, leggerissime pennellate, sino all’epilogo sospeso di brividi.

I Verlaine si sono affrancati dai paragoni, ingombranti ma lusinghieri, che li accostavano ai Perturbazione, ai Non Voglio Che Clara, financo a Le Luci Della Centrale Elettrica, per abbandonarsi nel grembo di uno stile molto personale e, bontà loro, immediatamente riconoscibile.

Non vi resta che scoprire chi ha mandato Branduardi in Iran, e con quali intenzioni, e perché avete bisogno di qualcuno che vi protegga dal jazz. Spalancate le braccia, dunque, e lasciatevi bruciare il cuore dalla stretta fugace e necessaria di questi minuscoli attimi. Una rivoluzione semplice di nome Verlaine.

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Voto degli utenti: 6,6/10 in media su 4 voti.
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C Commenti

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fgodzilla (ha votato 6 questo disco) alle 9:31 del 11 aprile 2013 ha scritto:

musicalmente validi ma il cantante non si puo sentire

Lezabeth Scott alle 12:13 del 11 aprile 2013 ha scritto:

Mah...non peggio di tanti altri. Più famosi.

Lezabeth Scott alle 12:21 del 11 aprile 2013 ha scritto:

PS: il singolo è bello e Mengoli ha scritto una grande recensione.

Kuaglia alle 14:23 del 12 aprile 2013 ha scritto:

In Italia sembra proprio che che da un po' non si riesca a fare rock e quando non lo si fà si cade tra Capossela&Baustelle. Qui sento di piu' i secondi, a parte la voce(noisa), comunque validi. Un po' alto il voto

george alle 12:51 del 14 aprile 2013 ha scritto:

grazie a tutti!

Marco_Biasio alle 9:46 del 15 aprile 2013 ha scritto:

Non sapevo fosse uscito il nuovo disco! Occorrerà ascoltare! Bravo Dan!

bargeld, autore, alle 20:08 del 15 maggio 2013 ha scritto:

Intanto ringrazio per i complimenti. Ci tengo a precisare che ho recensito (oltre che ascoltato) molti album appartenenti a questo nuovo filone cantautorale - o pseudo-tale - italiano. Non ho mai assegnato un voto così alto a nessuno di quei dischi. Un motivo c'è: nessuno aveva la scintilla. In questo disco ci sono alcuni momenti (attimi, secondi forse) di limpido incanto che lasciano completamente disarmati. Forse non li troverete nemmeno dopo molti ascolti, ma se li scovate... chevvelodicoafa'.