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R Recensione

8/10

Giuliano Dottori

Temporali e rivoluzioni

C'è innanzitutto una somiglianza (meramente estetica), quella di Giuliano Dottori col Buckley figlio, che sorprende e inquieta. E c'è un mondo che si dischiude ascoltando questo Temporali e rivoluzioni, costruito su un'introspettiva e delicata poetica. Fragiliformi universi appaiono in dissolvenza, appena tratteggiati o come eleganti immagini in bianco e nero. Un piccolo cosmo fatto di creature vulnerabili ed introverse, labili equilibri, forme irregolari, cadute, uragani, sirene che diventano vampiri, passeggiate dentro il bosco e luci fioche. Non ingannino poi la levità e il piglio etereo, a tratti sussurrato, col quale il cantautore ci narra le sue storie: gli scenari dipinti sono spesso velati da presagi di sconfitta, timori di fallimento, il dubbio e un senso di smarrimento dimorano come ombre ingombranti che allungano l'artiglio sulla fragilità di questi attuali, perdenti protagonisti.

Un'opera dalla doppia anima insomma: la prima, quella suggerita dalle ottime soluzioni sonore, sognatrice, intimista ed accogliente come un caldo piccolo rifugio, la seconda, quella narrata dai testi, inquieta ed offuscata, fatta di mete ambite ma irraggiungibili. Eppure permane come un equilibrio tra le due, l'angoscia che l'artista ci racconta non prende mai del tutto il sopravvento ma rimane latente, domata da un senso di ricerca, da uno sguardo che non si arresta, in cerca di risposte, poco importa che poi le trovi o meno. Piccole crisi quotidiane che mantengono un'allerta continua («anche quando spunta il sole») ma necessaria («non perdere il disagio e la tua voglia di resistere, che tutto il senso in fondo in fondo lo ritrovi lì»).

C'è il tempo cadenzato ed ipnotico di Chiudi l'emergenza nello specchio, col tocco leggero del piano come gocce di pioggia e il basso che suggerisce un tic-tac ossessivo, come battiti di un tempo rapido e implacabile, e c'è la ritmica dominante e perfetta dal sapore bristoliano di Amuleto (frutto di un magistrale utilizzo della drum machine). Non fa mai male la verità è una ballata metropolitana, il pezzo forse più descrittivo dell'opera, un malinconico baluginare di pensieri davanti ad un temporale sferzante e incessante. Accarezza l'anima la sofferta e intensa profondità di Tenerti stretto un ricordo, un accorato invito alla cura del proprio delicato spazio, a coltivare un ricordo come antidoto, come difesa dai giorni, dai pensieri che divorano, dal tempo che consuma, mentre la successiva Inno nazionale del mio isolato sembra l'inevitabile implosione di una vita racchiusa nell'alienante "raggio d'azione di un solo chilometro", una vita apparentemente perfetta, fatta di piccole cose futili al loro posto, un buon impiego, un po' di fitness in palestra, ma è una vita inautentica, che diviene solo specchio di un'inconsapevole auto-reclusione in un universo solipsista, tristemente individualista. Catene e gioie fragili incarna il culmine dell'anima ambivalente di quest'opera, tra l'atmosfera spensierata e fresca del pezzo ed un testo che prosegue la dialettica di un percorso esistenziale incerto ed affannoso, ed anche quando «ti sporgi oltre la siepe, cerchi di abbracciare l'orizzonte» succede poi che «il ghiaccio si fa vetro sotto di te». Un plauso particolare merita anche la cupa conclusione affidata a Le cose semplici, carica di tutto l'oscuro sentire e pre-sentire di un «silenzio precario che rende insostenibile ogni sguardo che si abbassa», echi e riverberi psichedelici richiamano da vicino un'inquietudine di matrice yorkeggiante, ma dove, nonostante tutto, permane una prospettiva aperta alla possibilità, al ricominciare dalle cose semplici per non ricadere nell'errore.

Un tocco in più a quest'opera già matura e dotata di un senso circolare è data dalla produzione di Giovanni Ferrario, il piccolo re Mida del panorama nostrano (lo ricordiamo qui, pescando dal suo chilometrico curriculum, per la produzione di quel piccolo gioiello di fine anni 90 che fu Armstrong degli Scisma nonchè per la collaborazione a tutti i progetti solisti di Morgan, fino all'ultimissima collaborazione con PJ Harvey e John Parish, senza dimenticare il suo personale percorso con i Micevice). Va ricordata inoltre la collaborazione dell'artista in qualità di chitarrista con Alessandro Raina e i suoi pluriosannati Amor Fou, quella con Barbara Cavaleri, raffinatissimo astro nascente diviso tra Londra e Milano e, last but not least, il lavoro da produttore per Daniele Tenca fino a quello recentissimo, tutt'ora in corso, per Lucia Manca. Molto curati e ben diretti (da Valentina Villa) anche i videoclip che accompagnano i due singoli estratti (Chiudi l'emergenza nello specchio e Inno nazionale del mio isolato), poco budget ma tante belle idee realizzate con fantasia ed eleganza.

Gli elementi ci sono tutti per aggiungere un altro importante tassello alla nostra storia della musica.

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