R Recensione

6/10

Jason Collett

Here's To Being Here

E' inutile negarlo. La militanza di Jason Collett negli osannati Broken Social Scene non può che accendere, se non altro subliminalmente, riferimenti immediati al pantheon indie canadese che tanto ha spopolato ultiimamente, e che nel 2008 ci ha regalato alcuni dei dischi più interessanti dell'annata.

Chi ha già avuto però modo di ascoltare Collett in veste solista già saprà che, quando non si porta dietro tutta la (sconfinata) ballotta di Toronto il nostro ama navigare in acque più tranquille, lontano dalle esuberanti trovate vulcaniche di BSS e compagnia, ma anche dalle riuscite contaminazioni dei “cugini” Apostle of Hustle.

Collett solista è una faccenda abbastanza tradizionalista, piuttosto e anzichenò. L'“abbastanza” è, ovviamente, un generoso eufemismo, e questo Here's to Being Here ne è l'ennesima riprova. Si inanellano ancora una volta 12 pezzi impeccabili, scavati nei solchi già battuti negli ultimi anni da gente come Ron Sexsmith, Josh Rouse e John Vanderslice.

Pop-rock dalle mire cantautoriali e dai languori countreggianti in odor di anni '70, sufficientemente leggero da viaggiare sulle frequenza A.M. dell'epoca: il che non necessariamente costituisce un problema. Sebbene un problema, e nemmeno piccolo, vi sia eccome.

Sapientemente derivativo, sovente calligrafico nell'approccio alla materia compositiva e alla composizione, Collett mima con straordinaria abilità vezzi e tic compositivi altrui: il favorito pare essere Dylan, riprodotto dettagliamente nei minimi dettagli dalla prima all'ultima traccia (si ascoltino Roll on Oblivion o Through The Night These Days), ma c'è anche il country gospel della Band (Henry's Song e Somehow), un pizzico di Fred Neil (No Redemption Song), una puntina del Rod Stewart "formato ballata" (Nohing To Lose).

La cosa più moderna che può essere percepita qua dentro sono i Wilco in vena nostalgica (Sorry Lori), la loro costola dolciastra che va sotto il nome di Autumn Defense (Waiting for the World) o un pelo della vocalità strascicata e indolente di Ron Sexsmith.

Ci si sforza e ci si concentra per trovare una cifra distintiva, una parvenza di unicità che possa aiutarci a distinguere Collett dai suoi maestri, passati e presenti, ma l'impresa è vana. Ogni singolo elemento nella musica di questo Here's to Being Here pare preso, inequivocabilmente e senza alcuna rielaborazione, in prestito.

E, paradossalmente, si tratta di un disco piacevole e ottimamente prodotto dal ben più interessante Howie Beck. E in fondo proprio di questo si tratta. Di un disco formalmente impeccabile, ma mai, neanche per un istante, nemmeno per uno straccio di secondo, memorabile.

V Voti

Voto degli utenti: 5/10 in media su 1 voto.
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C Commenti

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fabfabfab (ha votato 5 questo disco) alle 11:52 del 27 agosto 2008 ha scritto:

bella recensione. jason a me è sembrato un po' "accademico". d'altra parte nel tuo scritto appare il nome di Rod Stewart...