R Recensione

6/10

Malcolm Middleton

Sleight Of Heart

Succede spesso: quando un gruppo di un certo calibro si scioglie e i singoli componenti avviano nuovi progetti musicali il confronto con il passato è spesso (anche se non sempre) scontato e grava come una pesantissima spada di damocle. È un fenomeno che ne ha colpiti a dozzine: da Sting a Chris Cornell, da David Byrne a Richard Ashcroft. Si potrebbe continuare all'infinito, ma forse è il caso di concentrarci su Malcolm Middleton, membro storico degli Arab Strap.

IPosto che, a detta di chi scrive, quello scozzese pur avendo avuto i suoi ottimi momenti non era un gruppo imprescindibile, nonostante l'alone leggendario che fin dagli esordi ne ha avvolto la carriera. E allora come vedere la carriera solista di Malcolm Middleton? Una prima chiave di lettura potrebbe essere il confronto decisamente impietoso (e oseremo dire imbarazzante) con i progetti di Aidan Moffat (l’altro cardine del duo Arab Strap), in particolare con quello che prende il nome di Lucky Pierre. Un’altra potrebbe essere semplicemente tentare un confronto qualitativo tra gli album degli Arab Strap e quelli di Middleton. Una terza infine potrebbe essere tralasciare ulteriori contorsioni mentali e valutare senza pregiudizi la carriera di un songwriter decisamente apprezzabile.

Quest’ultima sembra essere senz’altro la strada migliore, tuttavia la cocciutaggine del sottoscritto impone un obbligo quasi morale: denunciare i detrattori di Malcolm. Denunciare e se possibile sottoporre a punizioni corporali tutti coloro che apprezzano ed esaltano gli Arab Strap e poi sputano su Into the woods e A Brighter Beat farneticando cose del tipo “eh ma gli Arab erano un’altra cosa”.

Finita la sobria presentazione passiamo più precisamente a parlare dell’autore e della sua discografia ormai sufficientemente ricca da consentire una leggera analisi generale: l’esordio solista, 5_14 fluoxytine seagull alcohol john nic (2003) era terribilmente e meravigliosamente cupo e seppur tra alti e bassi riusciva a emozionare non poco. Into the Woods (2005) e A Brighter Beat (2007) tiravano fuori le unghie e godevano di un maggiore equilibrio oltre che di una maggiore varietà compositiva. Le chitarre salivano alla ribalta e una tenera dinamicità veniva posta in primo piano.

Ora paradossalmente Malcolm sembra fare un passo indietro e torna ad uno stile umile e appassionatamente scarno. Via le chitarre roboanti, via le batterie tirate, via gli effetti low-fi di ogni tipo e via pure ogni tipo di campionamento elettronico. Via tutto insomma. Rimangono solo una voce, una chitarra e una manciata di canzoni originali. Una manciata davvero perchè su nove brani ben tre sono cover: Stay, curioso e irriconoscibile stravolgimento di un brano di Madonna, sembra essere elevata non solo esteticamente ma anche moralmente. Marguerita red (King Creosote) e Just like anything (Jackson C. Frank) perdono invece il confronto con le versioni originali, rimanendo denudate della magia primitiva per essere adattate al livello scarno e asciutto del resto del disco.

Disco che di fatto si propone come un ritorno ad una purezza essenziale e ad una povertà musicale degni del primo Iron & Wine (inevitabili i rimandi tra la ballatona amorosa Love comes in waves e The Creek Drank The Cradle) o del sempreverde Bonnie Prince Billy (Blue plastic bags), con l’ulteriore possibilità di rivangare artisti del calibro di Badly Drawn Boy e Bright Eyes. Che cosa rimane allora? I deliziosi arpeggi di chitarra di Week off, open-track dai toni bassi ed eleganti. Gli accordi essenziali ma incisivi della agghiacciante Follow robin down, probabilmente il pezzo più emozionante del disco per il suo saliscendi emotivo. Ma anche la scarsa ispirazione di Total belief, nonostante i toni più tirati. E soprattutto l’impressione che spesso il colpo rimanga in canna, come sembra evidente ascoltando la conclusiva Hey you, forse il brano che meglio rispecchia complessivamente Sleight of heart.

Un disco assolutamente gradevole da ascoltare ma che perde l’occasione di lasciare il segno, che non riesce a colpire nell’anima, nonostante sia evidente la volontà di Malcolm di attaccarci nel profondo con una serie di canzoni sincere ma non sempre efficaci. D’altronde quando c’è una simile onestà e raffinatezza non si può che chinare il capo in segno di rispetto.

V Voti

Voto degli utenti: 6/10 in media su 1 voto.
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C Commenti

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DonJunio alle 21:14 del 25 febbraio 2008 ha scritto:

the last romance

belli i tempi in cui cantava "it was the biggest cock ever seen" ( incipit di "philophobia")...oggi farei fatica ad ascoltarli.