Akkura
Brucerò La Vucciria Col Mio Piano In Fiamme
Questo disco è un atto d’amore. Non per una donna, un popolo, una nazione o parte di essa, non per il mare, la luna, la musica. È amore pulsante per una città, Palermo, per i suoi vicoli, le sue piccole storie di vita e di morte, per il profumo del pesce da una finestra aperta, per il dialetto, le case, lo spirito, l’aria. Semplicemente, se Palermo fosse musica, sarebbe questo disco.
Terzo lavoro per la band siciliana, registrato integralmente a Rio de Janeiro, prodotto da due figure di spicco della nuova musica brasiliana, Moreno Veloso (figlio di Caetano) e Domenico Lancellotti. E allora, Palermo, se fosse musica, suonerebbe A Rio? Si e no. Sembra che l’intenzione fosse quella, oltre che presumibilmente di farsi un gran bel viaggio (come testimoniato dalle foto allegate), di voler astrarsi al massimo dall’argomento del concept, per contemplarlo da fuori, con gli occhi della nostalgia, del ricordo, delle radici.
Da un’intuizione di Dario Flaccovio, editore, nasce e viene sviluppata l’idea di fondere il lavoro musicale degli Akkura con quello letterale di autori che pure Palermo la conoscono bene, in una sorta di affresco artistico circondato da punti di vista trasversali, funzionali all’unico scopo di penetrare e illuminare le penombre più nascoste di una città che conserva integra e affascinante la propria segreta essenza.
Dieci canzoni e dieci racconti (scritti da Tosini, Gullotta, Traina, Enia, Algozzino e dal cantautore Cesare Basile), uniti da un filo conduttore comune e da tematiche tacitamente parallele. E se la disomogeneità dei racconti pare più un intento che un difetto, la vera sorpresa sta nelle canzoni dei palermitani, microcosmi di tenue poesia che celano mille sfumature scivolose cui aggrapparsi con le unghie e con la mente.
Affrancatasi in larga parte dai territori balcanici, la musica dei nuovi ambiziosi Akkura è figlia del teatro e del varietà d’altri tempi, quanto del cantautorato brasiliano e dei ritmi messicani. Un pastiche di generi curato in ogni dettaglio e straordinariamente credibile, con la tromba che prima o poi si impadronisce della scena come un riconoscibilissimo marchio di fabbrica. La Vucciria è un quartiere di Palermo, e la title track racconta a ritmo di swing dell’ambizioso progetto di proteggerla da chi la vuol cambiare con l’aiuto della musica, e delle fiamme.
Ricchi di acuto nonsense i testi, e di declinazioni inaspettate le musiche, è breve il passo tra il western circense di Kalsamex e il fischiettare della dialettale Beddu Lupu, con Arto Lindsay alla chitarra come in Diquembra, polvere che si posa su un mantra remoto. Il varietà nazionalpopolare del Benefattore passeggia a braccetto nei Vicoli Vicoli della memoria con l’Attore Meridionale, cantastorie e menestrello dal finale tropicale. Surreale lo stomp di Chiedilo A Nick Cave, stralunata e poetica nello squarcio celeste che farà nevicare su Palermo, un giorno. Ma le vere pietre miliari del progetto restano (e resteranno) Nico il gigante, mesto rock’n’roll di visionaria disperazione (accompagnato da un efficace racconto, a firma degli stessi Akkura, che rende il personaggio di Nico icona generazionale), e la finale Sabbie Immobili, commovente dichiarazione d’amore per la città e le radici (“E su queste sabbie mobili, noi resteremo immobili…”), una danza mistica e lenta di sacrificio.
Lascio volentieri alle parole degli autori la conclusione: “Qui non troverete un’analisi sociologica di Palermo, ma un affresco di una città che è già meravigliosa così, che non attende nessun futuro. A Palermo il futuro già ci fu.”
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