Dente
Non Cè Due Senza Te
Giuseppe Peveri, in arte Dente, è un musicista di Milano e potrebbe essere la prova vivente della reincarnazione di Battisti. Se vi sembra che stia esagerando, provate ad ascoltare l'ultimo "Non c'è due senza te". Si rimane con gli occhi larghi di stupore e il cuore leggero di gioia e incredulità, e ci si ricorda all'improvviso che dopotutto ci sono ancora tanti pezzi stupendi da scrivere e ascoltare, canzoni semplici e sincere, limpide armonie costruite solo su di una voce e una chitarra, come si faceva un tempo.
Questo Dente ha saputo mescolare magicamente testi evocativi e ironici, con un carattere musicale che pur essendo assolutamente originale e caratteristico, è quello che definirei la naturale continuazione della canzone tradizionale italiana. Non a caso all'inizio si è tirato in ballo Battisti; sembra assurdo ma il primo riferimento che si percepisce è proprio quello delle canzoni romantiche e sentimentali di una volta, a volte tristi e piene di rassegnazione, ma con un trasporto unico. Canzoni come "Oceano" o "Chiedo" potrebbero essere senza difficoltà uscite dalla chitarra di Gino Paoli in una giornata di pioggia.
Dente racconta storie di un'estate calda di anni fa, di viaggi in macchina con mille mozziconi di sigaretta e di lunghi baci. La dimensione del ricordo che ritorna imperterrito avvolge tutto il disco e si confonde con l'afa e l'amaro in bocca di un doloroso tradimento ancora non ben digerito. "Io per lei ho fatto finta di non capire come mi abbia spezzato le costole quando mi ha abbracciato a metà, mi dico "vedi?" cambiano in fretta le regole, i tempi, gli sguardi e l'umore. Ma io per lei ho fatto un trapianto di cuore", canta Dente con una voce delicata e un po' roca, che a volte sembra il bisbiglio di una persona rassegnata ma con dignità, un po' come Rino Gaetano nelle ballatone, o Fabio de Min dei Non Voglio Che Clara nei pezzi più sentiti.
Frasi amare, ferite ancora aperte e squarci nel cuore che questo musicista esorcizza col Pop, che rimargina le ferite e asciuga le lacrime con melodie che sono dei balsami profumati. E la malinconia e il bruciore del ricordo non trapassano: Dente tratta le canzoni come si fa con i tessuti, e il risultato è che non si sa come, non riesce a scrivere pezzi tristi. Anzi, le canzoni che raccontano i tradimenti dell'amata sono paradossalmente le più allegre, e riuscirebbero a strappare un sorriso a chiunque. Canzoni d'amore ma "di non amore".
Merito anche dei testi di una semplicità violenta e disarmante, ironia à la Babalot ("com'era bella la moglie del tuo amante, sei stata ingenua, col telefono stacci più attenta!") con un sapore inconfondibile di quotidianità e ingenuità che ricorda un Bugo acerbo, o molto maturo. C'è poi spazio anche per ballate di tradizione cantautoriale, come si ascolta in "Irene", dove il dondolare del cantato e le melodie di retrogusto popolare rivelano anche una velata influenza che porta da Georges Brassens al nostrano De André.
Tredici piccole canzoni, tredici pillole di crudele delicatezza e disillusione, tredici melodie trascinanti e perfette. In poche parole: un disco mozzafiato.
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