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R Recensione

8/10

Giorgio Gaber

Io non mi sento italiano

“Giro giro tondo, cambia il mondo

Il Signor G ci ha lasciato la mattina di capodanno di quasi 9 anni fa, ma è più attuale di qualsiasi altro prodotto made in italy mi sia capitato a tiro in questo lungo periodo.

Anche con il suo manifesto-testamento, “Io non mi sento italiano”, che oggi più di ieri suona freschissimo, trascinante, commovente.

Facciamo un passo indietro: Giorgio Gaber è uno fra i grandi autori della canzone tricolore, uno fra i pochi che hanno saputo aprirle strade nuove, inventarsi una poetica assolutamente personale; è il pioniere e l'interprete più sublime del teatro-canzone, l'intellettuale anti-conformista e anarchico per eccellenza.

Impossibile inquadrarlo, definirlo, catalogarlo: certamente è figlio della contestazione e della swingin' Milan degli anni '60 (di cui rappresenta uno fra i volti di primo piano, accanto agli amici Celentano e Jannacci), certamente è un prodotto di quel particolare humus culturale che ha dato origine alla stagione più felice della nostra canzone d'autore.

Ma rimane fondamentalmente un solitario, uno spirito libero, un innovatore cocciutamente incamminato lungo sentieri personali che se ne frega completamente di ogni tipo di moda (sia questa la musica politicizzata che, a volte, nel corso degli anni '70, assume i contorni di una sgradevole forzatura; oppure la melodia preconfezionata che infesta i vari Sanremo con i suoi sentimentalismi da quattro soldi; o ancora la musica da supermercato proponataci più recentemente da talent show e simili).

Gaber è il poeta della semplicità: il suo linguaggio è diretto, purissimo, limpido “come un cielo d'estate sempre blu”. Ma non assume mai i contorni della predica né si crogiola fra banalità assortite che parlano solo ad un pubblico di convertiti (come ahimè fa da tempo buona parte della nostra scena indie, incapace dal mio punto di vista di produrre un autore veramente significativo, un “poeta” che abbia da offrire una visione propria - giusto Emidio Clementi rappresenta un'importante eccezione).

Non è aulico né ricercato come le rime erudite dell'amico Francesco Guccini, né il suo lirismo assume i contorni dell'invettiva avvelenata; non è intriso del surrealismo amaro e inconoclasta di Rino Gaetano.

Neppure costruisce una solennità quasi storico-religiosa, arricchita dalle metafore celestiali che innvervano la produzione di Fabrizio De André: eppure Gaber è profondo e toccante come questi autori.

Come gli altri grandi, è capace di un umorismo fulminante ma sempre elegante e leggero; e riesce a muovere corde profonde con una semplice intuizione.

Si avverte fra le pieghe della sua arte anche l'importanza degli chansonnier d'oltralpe, da Leo Ferrè a George Brassens, e soprattutto, ovviamente, il consumato attore teatrale Jacques Brel (tanto da modellare anche la gestualità su quella del genio belga), perché Gaber, così come il sommo Faber, è anche il cantore del popolo degli umili, degli emarginati e dei disadattati.

Li tratta sempre senza condiscendenza, ma con il rispetto dovuto ad ogni essere umano e con un'ironia leggiadra e dolcissima: e così i personaggi che ravvivano la Milano popolare delle periferie diventano i protagonisti di storie dal respiro universale, diventano affreschi degni dei capolavori di un Caravaggio.

Riccardo che ama il biliardo ed il Sig. Cerutti Cino, che gli amici al Giambellino chiamavan “Drago”, sono destinati a segnare la memoria collettiva per sempre. Sono fotografie ingiallite eppure sempre attuali di un mondo che, senza il Sig. G (ed alcuni colleghi) era destinato a rimanere per sempre lontano dagli altari delle cronache, a sguazzare in una subalternità senza rimedio, a perdersi fra strade e palazzoni di second'ordine senza che nessuno ne evidenziasse la straordinaria carica umana.

Io non mi sento italiano”, pubblicato postumo nel 2003, racchiude tutto ciò, è il Signor G in tutte le sue sfaccettature ed in tutto il suo lirisimo immaginifico. "Io non mi sento italiano" è il disco di un nobile eversore.

Ogni pezzo meriterebbe un'approfondita analisi che qui, anche solo per motivi di spazio, risulta difficile collocare.

Ma lasciatemi celebrare alcuni momenti di una bellezza straziante, le vertigini che parole assolutamente comuni possono provocare se incastonate nei testi del Sig. G.

Il tutto è falso” è un'amara riflessione sulle contraddizioni senza speranza della contemporaneità, e si divincola fra la paura del mondo che verrà lasciato ai nostri figli, l'orrore per una tecnologia totalizzante che ci sta privando del respiro, e guarda poi a problematiche universali.

Alle storture del mercato, alle guerre ed alle sofferenze più atroci che il nostro fascismo edonista ci costringe a vivere come fossero un romanzo giallo,  calpestando anche quel briciolo di umanità che ancora ci resta (tema ripreso nella meravigliosa “C'è un'aria”, sprezzante e sarcastico ritratto del mondo dei nostri media: “E c’è un gusto morboso del mestiere d’informare, uno sfoggio di pensieri senza mai l’ombra di un dolore e le miserie umane raccontate come film gialli, sono tragedie oscene che soddisfano la fame di questi avidi sciacalli”).

Non insegnate ai bambini” è subilme ode all'infanzia degna di un Federico Garcìa Lorca, e prende a sassate ogni forma di prematuro abbruttimento, dettato da una morale stanca o dalla manìa di indossare uniformi ed imbracciare armi contro il nemico di turno, che avvelena il nostro clima culturale sin dalla più tenera età.

Giro giro tondo, cambia il mondo” è la definitiva celebrazione del potere liberatorio ed eversivo dell'età “mitica” per eccellenza, e fa scorrere pesanti brividi lungo la schiena ogni volta.

Si prosegue sulle corde straziate de “Il Dilemma”, sofferto ritratto dei dubbi che possono corrodere le storie d'amore e concludersi nel modo più tragico. Ritratto di ampio respiro e privo di stoccate velenose: qui Gaber è commosso e delicatissimo, e non usa mai la mano pesante.

Da ascoltare sono anche la divertita “Il Corrotto”, che è sia sculacciata a certi facili moralismi che tetra raffigurazione di un mondo scarnificato ove tutto è merce, ed ovviamente anche il sesso; così come la filosofica “I mostri che abbiamo dentro”, riflessione austera sull'eterno dualismo dell'animo umano ricca di spunti che potrebbero valorizzare, quasi da soli, la carriera di tanti presunti cantautori di oggi e di ieri.

Ho volutamente lasciato un po' di spazio per la celebre title-track, che rappresenta la definitiva dichiarazione d'indipendenza senza limiti e compromessi del Sig. G. (“Mi scusi Presidente, se arrivo all'impudenza, di dire che non sento alcuna appartenenza”), inno alla libertà ed al valore della vita in quanto tale (così come “Se ci fosse un uomo”), senza stecchati, barriere, inni e bandiere: semplicemente, l'uomo al centro di tutto.

Non è un inno anti-italiano (anche perché oggi una simile affermazione evoca subito sgradevoli camicie verdi): anzi, prende accoratamente le difese della cultura e della storia del belpaese, quando serve per fronteggiare luoghi comuni beceri e razzismo invertito (“Mi scusi Presidente ma forse noi italiani per gli altri siamo solospaghetti e mandolini. Allora qui mi incazzo son fiero e me ne vanto, gli sbatto sulla faccia cos'è il Rinascimento”). Ma sa leggere fra le righe la retorica scialba e vuota che circonda le celebrazioni dell'inno e del nazionalismo più insulso.

La musica è ovunque un elegante, discreto tappeto di archi (e sporadicamente fiati) che evidenzia e valorizza le parole di Giorgio. Giusto la title-track è più movimenta, una marcia spassosa e ricca di colori e sfumature, piccola gemma di ritmi ed incastri ingegnosi.

Gli arrangiamenti sono in ogni caso puntuali, misurati, puliti: e la forza del disco, così come in ogni opera d'autore che si rispetti, sta proprio nella fusione equilibrata fra la sua intensità lirica ed il paesaggio ove parole e concetti prendono forma.

In pochi hanno saputo coniugare un ibrido paragonabile a quello del Sig. G: ed allora che il nostro “anarchico” possa inventare ed emoziare anche da lassù, che le sue parole siano una boccata d'aria fresca per tutti quelli che stanno riposando accanto a lui.

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luca.r 7/10

C Commenti

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bargeld (ha votato 8 questo disco) alle 17:01 del 3 novembre 2011 ha scritto:

Mi manca Gaber, un uomo la cui scomparsa ha lasciato un incolmabile vuoto, ma pure una straordinaria eredità: la brillantezza lucida e indipendente dei suoi pensieri a voce alta, la precisione sboccata delle sue invettive, quel profondo senso di giustezza e di giustizia mi hanno fatto crescere e imparare più di cento libri di scuola. Mio padre me lo propinava che non avevo ancora 10 anni, e col tempo ho collezionato l'intera sua opera in tutti i supporti audiovisivi esistenti. Questo ultimo album contiene la reincisione di alcune tracce che risalgono a più di un decennio prima, e questo la dice lunga su quanto sia ancora valido il suo pensiero (Io Se Fossi Dio, non contenuta in questo disco, ha quasi trentadue anni ed è di un'attualità sconvolgente: il Paese sarà pure fermo da mezzo secolo, ma le visioni di quest'uomo sono pura rivoluzione).

FrancescoB, autore, (ha votato 8 questo disco) alle 20:19 del 3 novembre 2011 ha scritto:

Quoto ogni sillaba Bargeld. Artista, pensatore e persona enorme, come ce ne sono sempre troppo pochi.

REBBY alle 10:37 del 4 novembre 2011 ha scritto:

Gaber era ancor più grande dal vivo. I suoi monologhi e le sue canzoni si valorizzavano ulteriormente quando vedevi le sue mimiche e le sue posture. Preferire i DVD ai CD quindi.

ozzy(d) alle 11:07 del 4 novembre 2011 ha scritto:

come avrà fatto gaber a sposarsi ombretta colli bohhhhh! colpevole pure di aver vergato quella frase "temo il berlusconi che è in me", uno dei peggiori luoghi comuni degli ultimi anni ghghgh

FrancescoB, autore, (ha votato 8 questo disco) alle 11:20 del 4 novembre 2011 ha scritto:

In effetti quella fu una brutta botta ghghgh, ma il Signor G è stato talmente grande sotto ogni profilo che possiamo perdonarlo. Questo disco poi è uno schiaffo gigantesco al berlusconismo inteso non tanto come movimento politico ma come scena culturale, ed è sufficiente un ascolto a "C'è un'aria" per coglierlo (ma direi che ogni brano è anni luce dalla volgarità becera di un certo ambiente, Gaber si libra sempre al di sopra di certe bassezze, con eleganza, ironia e garbo).

REBBY alle 12:03 del 4 novembre 2011 ha scritto:

"temo il berlusconi che è in me"

Per come la vedo io Gaber nelle sue opere ha sempre descritto l'Italia e soprattutto gli italiani e l'ha fatto meglio di tanti saggi socio-politici che ho letto nella mia vita. Secondo me non aveva altre "pretese" e non era poi così interessato a giudicare (da qui l'accusa frequente di "qualunquismo"). Quella frase è perfetta. Se non lo fosse difficilmente si potrebbe spiegare che il signor B sia il presidente del consiglio con più anni di potere della nostra storia repubblicana. Per quanto riguarda la Colli si sa l'amore è cieco, avrà avuto altre qualità agli occhi di suo marito eheh.

FrancescoB, autore, (ha votato 8 questo disco) alle 12:09 del 4 novembre 2011 ha scritto:

Secondo me parlare di qualunquismo è del tutto fuorviante: non vorrei che si confondesse il concetto di apartitico con quello di apolitico. Gaber era evidentemente apartitico - come tutti i grandi cantautori, peraltro, e forse ancor più indipendente - ma il suo è un discorso pregno di politica, storia e cultura. Come lo sono pochissimi altri: è un grande ritrattista ma anche un pungente contestatore, per quanto adotti sempre un'ottica personale poco allineata. Ecco perchè nella recensione parlo di anarchico: per me quella è la definizione più calzante per il Sig. G, un anarchico incallito, un artista che sfugge ad ogni preconcetto.

REBBY alle 15:19 del 4 novembre 2011 ha scritto:

"Anarchico a me!? Ah, ah! Sono un demonio io, una belva umana, altro che anarchico. Sono dotato di una tale dose di cattiveria da affossare tutte le guerre del mondo. Sono anche brutto, per rappresaglia. Fascino zero. Forse sono malato di fegato, ma non mi curo, così imparano!

Anarchico. Gli anarchici amano l'umanità. Sono una merda io, altro che anarchico. A me l'umanità mi piace guardarla dall'alto. A volte spengo la luce e mi metto alla finestra… Ridicoli loro eh? Curano la facciata e qualche volta anche il "didietro". E io invece da qui li vedo ribaditi, spiaccicati sul marciapiede, schifosi, con le gambette che escono dalle spalle. ‘SPUT’, ‘SPUT’, ‘SPUT’. Bisogna renderle chiare le superiorità morali anche con fatti materiali, sennò si afflosciano le superiorità; solo così si spiegano i campanili e le torri Eiffel. Qualcuno dice: "Andare a Dio".

Guardare sotto... ‘SPUT’, dalla torre Eiffel, "SHHH…"… "BUM!". Quando si è sullo stesso piano degli uomini è difficile considerarli come delle formiche: ti sfiorano, ti accarezzano, ti entrano dentro. Che schifo. Ci si affeziona. Non c'è niente di peggio dell'amore me lo devo ricordare, sono una merda io! ‘SPUT’, ‘SPUT’, ‘SPUT’. "Che c’è?", guardano in su, "Stupidini! E’ il tempo che è cattivo? No, sono io che sono una merda!".

‘SPUT’, ‘SPUT’, ‘SPUT’. I bambini... come li odio i bambini! Coi bambini è più difficile, è come bocciare il pallino. ‘SPUT, SPUT’, ci vorrebbe l'anticipo, ‘SPUT’, ma cresceranno eh, gli verranno dei bei testoni e allora io ‘DEN’, ‘DEN’, ‘DEN’. ‘SPUT’, ‘SPUT’, guarda là, guarda come corrono, guarda eh, mai che vadano sotto una macchina, mai. lo sono per le macchine, per forza, sono una merda. Dai, dai, forza, dai, dai è tuo, è tuo prendilo, prendilo! L’ha mancato guarda, negati! Non ne prendono mai uno. Una volta uno l'hanno preso. Non era un bambino, era un anziano… meglio che niente! ‘UUUU’, l'ambulanza ‘UUUU’ e io giù che arrivo primo. ‘UUUU’, l’ambulanza… ‘PAH’, sono arrivato lì primo. L’ho visto lì per terra. L’ho visto, tutto quel sangue! Quanto, quanto sangue! "Stai calmo" mi dicevo "non è niente, non è più commovente di un po’ di smalto fresco, dai! Fai conto che gli abbiano dipinto la faccia di rosso, tutto qui, dai, che ti frega!..." A un certo punto ho sentito una sporca dolcezza, una schifosa pietà prendermi alla nuca e anche alle gambe e… ‘BLOOM’, son svenuto! Ma come? Sono una merda! Mi sono risvegliato in farmacia.

Erano gentili, mi davano da bere, mi davano delle gran pacche sulle spalle… mi volevano bene! No! Sono scappato, li ho insultati, sono corso a casa terrorizzato. Per un attimo, anche se solo per un attimo, ho avuto paura di non essere neanche una merda!"

Torna alla Discografia Vai ai Cantautori

REBBY alle 15:37 del 4 novembre 2011 ha scritto:

L'ultima frase non c'entra eh (vai alla discografia...). Comunque le accuse di qualunquismo non le ho fatte di certo io (ma ci sono state soprattutto negli anni 70, eccome se ci sono state), lui è semplicemente da sempre il mio cantautore italiano preferito insieme a De Andrè. Poi da un punto di vista più prettamente musicale ho goduto molto, in ordine di apparizione, con Claudio Rocchi (Volo magico n. 1), Alan Sorrenti (Aria), Lucio Battisti (Anima latina) e Claudio Lolli (Ho visto anche degli zingari felici), ma loro sono i miei due "totem" della canzone d'autore italiana e forse proprio Giorgio è quello che sento più affine al mio modo di pensare ed io non sono anarchico, pur se a volte vorrei tanto eheh.

salvatore alle 15:47 del 4 novembre 2011 ha scritto:

Gaber - come tanti altri - non l'ho mai approfondito bene. Conosco un po' di canzoni che mi faceva ascoltare mia madre insieme a quelle di Battisti, De Andrè e De Gregori (solo quest'ultimo, dei quattro, è entrato realmente e prepotentemente nella mia vita). Gaber... mai approfondito... non so, forse è stato il suo "impegno" ad avermi sempre un po' spaventato (sì, sono un fifone) o forse la sua infinite sadness che neanche Tenco.

Stessa tristezza - o pugno nello stomaco? - che ho provato nel rileggere le parole de "L'anarchico" riportate da Rebby che mostrano un amore totale e totalizzante per l'umanità tutta, uno sguardo compassionevole delle sue (nostre) vite minuscole, delle sue (nostre) bassezze e del suo (nostro) diritto alla mediocrità...

E poi l'amore... non c'è niente di peggio dell'amore, me lo devo ricordare.

FrancescoB, autore, (ha votato 8 questo disco) alle 15:52 del 4 novembre 2011 ha scritto:

Beh anarchico non va inteso in senso prettamente politico, ma più che altro come sinonimo di "spirito libero" e poco incline a classificazioni di sorta.

Per me Gaber, da questo punto di vista, è la quintessenza dell'anarchia.

bargeld (ha votato 8 questo disco) alle 20:06 del 4 novembre 2011 ha scritto:

"temo il berlusconi che è in me"

La citazione completa sarebbe "Non temo berlusconi in sé, temo berlusconi in me" e con quel "in me" non intende l'individuo Giorgio Gaber, ma l'individuo e basta. La deriva becera dei nostri giovani, le loro aspirazioni e il loro arrivismo, la mercificazione della donna, il denaro come valore assoluto e unità di misura ("fatevi un panino con la Divina Commedia" Tremonti dixit in risposta ai tagli sulla cultura), studioapertouominiedonnegrandifratelli ECCETERA ECCETERA ECCETERA direbbe il nostro. Mi pare una citazione squarciante, e tutt'altro che qualunquista!

Giuseppe Ienopoli alle 12:37 del 6 novembre 2011 ha scritto:

X - Re:bby - Claudio Lolli ... ho visto ...

... Parto Nuvole Pesanti con Lolli Claudio ... cosa ne pensa l'uomo dei totem?!

ozzy(d) alle 17:04 del 16 novembre 2011 ha scritto:

SALVINI - Cita Gaber con la sua «Io non mi sento italiano», Matteo Salvini, europarlamentare del Carroccio. A poco più di un'ora dalla presentazione della lista del professore con la sua squadra, «non ci rimangono che Giorgio Gaber e la speranza in un Futuro diverso. E libero», ha scritto il leghista in un twit. buahahahahaha

FrancescoB, autore, (ha votato 8 questo disco) alle 21:06 del 16 novembre 2011 ha scritto:

Eh sì proprio un'interpretazione fedele del testo, notoriamente filo-padano e non semplicemete anti-nazionalista in senso lato ghghg

Salvini Genio, fra un po' citeranno Guccini fra i padri spirituali del carroccio