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R Recensione

6,5/10

Nicoletta Noè

Il Folle Volo

Folle è il volo dell’Ulisse dantesco, la cui nave ha remi che diventano ali e l’imbarcazione sembra librarsi dalle acque. Il veliero supera le colonne d’Ercole, solca l’oceano, sconfina, tenta di placare un’insaziabile sete di infinito, superando temerario i limiti imposti all’uomo dalla natura. Pecca di arroganza, Ulisse, e sprofonda negli abissi con il suo sogno e con i fedeli compagni. Folle è anche il volo di Icaro, scappato con il padre, Dedalo, dal labirinto di Creta: colto dall’ebbrezza si accosta troppo al sole, che fonde la cera delle sue gracili ali attaccate al torace. Icaro cade senza scampo nell’Egeo, muore in mare. Storie che narrano di eccessi, di curiosità, di coraggio, di vigoroso desiderio di scoperta, di dolce incoscienza. E per Nicoletta Noè (al secolo Nicoletta Grazzani) il suo “Folle volo” è “un viaggio nell’inconscio”, appunto, “nelle fragilità e nell’istinto dell’essere umano”, un percorso sinuoso nelle cavità più irrazionali eppure vere dell’indole. Nel terzo brano, onirico e omonimo del disco, la Noè parla di uccelli appena nati che provano a spiccare il volo, benché non ne abbiano ancora i mezzi: è un gesto folle, illogico, “metafora dell’essere impreparati alla vita”, concetto invero sempre realistico e attuale che si riverbera nell’album. 

Undici brani plasmano l’esordio della cantautrice e polistrumentista lodigiana, coadiuvata dai sapienti ricami di altri musicisti (Andrea Costa, Giuseppe Bonomo, Vince Pastano, Max Messina, Tiziano De Siati, Antonello D'Urso e Tommaso Tom). Undici canzoni prodotte in un lungo arco di tempo ed ora accorpate finalmente in un disco variegato, il cui filo rosso è la stessa voce della Noè: delicata, come delicate sono le parole, tra le quali si infila costante l’amore. Sono piccoli scorci di vita, quadretti autobiografici che si colorano di tinte noir o più sgargianti e solari a seconda delle occasioni e delle chitarre, elettricamente acide oppure acustiche o classiche, pulite e distensive. Le venature di folk e di pop decorano un rock che strizza l’occhio all’indie ma che infiamma solo a tratti, mentre voce e liriche riportano inevitabilmente mente e orecchio a Cristina Donà, a cui molto la Noè somiglia (e non può che essere un onore).  

I riff carichi di blues e le atmosfere sporche di Insonnia e di Solitude si impastano con le aperture melodiche e pacate di Dovecomequando, Fammi volare, Risparmio emotivo. Trame più cupe si diramano in Oh padrone, 17 anni e nella nostalgica Non mi ricordi più, in cui le memorie tornano a galla sulle note di un vecchio carillon. Dolcezza e miele promanano invece da Non è tardi e dalla finale, giovanile Fammi volare, allettata dai violini e dai fraseggi acustici. È un disco che guarda all’inverno incipiente, è chiaro dai suoni, dal vento che impera, dai versi (“porpora, riscalda la bocca”, “mentre il tepore è ancora lontano”, “tanto fuori fa sempre freddo”). È un inverno che la musica prova a scaldare in tutti i modi, senza tuttavia raggiungere temperature ragguardevoli, ma attestandosi su climi già avvertiti, già sentiti. Nicoletta scava nei dedali meno razionali e più istintivi di se stessa, cogliendo le sue emozioni. E le porta alla luce, le palesa, come polvere accumulata negli anni ed ora scrollata d’un colpo dai tappeti, dalle tende, dagli oggetti. È polvere sbatacchiata dalla coscienza e indirizzata in quell’aria dove ha luogo il suo folle volo, prima che la Noè riesca a planare, approdare, attraccare – stavolta né Ulisse, né Icaro – posando le buone impressioni sulla terra, sulla pagina, nel suo scrigno, la sua arca.    

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