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R Recensione

8/10

Ardecore

San Cadoco

Il progetto Ardecore sta diventando a tutti gli effetti una delle realtà più belle ed originali della musica italiana. Nato anni fa dall’unione di Giampaolo Felici (cantautore folk blues) con gli Zu (la band italiana di jazz d’avanguardia rinomata in tutto il mondo), e Geof Farina (il cantante e chitarrista dei Karate, una delle band di post rock più considerate e apprezzate), e con l’aiuto di esponenti della musica jazz e contemporanea di valore come Luca Venitucci e Valerio Borgianelli, oggi si presenta per il nuovo cd con una formazione rinnovata e l’aiuto di ospiti di rilievo.

Già in passato ci avevano stupiti con le loro rivisitazioni della tradizione popolare romana, tanto da vincere la Targa Tenco, ma in questo nuovo lavoro si sono superati. Ancora una volta la tradizione è ben presente, ma non è una riproposizione sterile del passato, anzi. Si sentono le influenze blues, rock, fino alla psichedelia anni ’70, che si amalgamano in maniera splendida alla tradizione popolare. Il disco (un doppio cd) è diviso in due parti: la prima dedicata ai brani originali, la seconda prevalentemente a quelli tradizionali.

Si apre con il brano omonimo, San Cadoco (un brano strumentale) dove già troviamo i suoni tradizionali (mandolino) unirsi alla batteria ed una chitarra elettrica dal piglio rock. Inizio travolgente, che mette subito le cose in chiaro: qui non si fa un’operazione nostalgica     

Col secondo brano siamo già ai vertici del disco. Meravigliosamente è un grande rock d’autore, cantato splendidamente da Giampaolo Felici, guidato da chitarre distorte e una batteria ossessiva. Un testo splendido per un brano in cui rock, punk e canzone d’autore trovano una sintesi perfetta. Quasi un capolavoro.

Spiccano nel primo cd anche Il nuovo giorno, quasi un Nick Cave della miglior annata, se non fosse per quell’atmosfera popolare che ne fanno un suono unico e originale, Oggi è domenica, con la voce filtrata, una rock ballad intensa (Tom Waits alla romana?) con la chitarra elettrica che ricama melodie tradizionali, per descrivere lo scorrere della settimana, del tempo e della vita, alla ricerca della salvezza dell’anima, e Per quella lei ci muore, brano a mille all’ora, ritmica quasi punk su un testo che parla di amore, tradimento, gelosia, dolore e morte in maniera per nulla retorica o scontata.

Altrettanto riuscito è il brano che chiude la prima parte di quest’opera che racconta la vita di San Cadoco, Nessuno sa più bene, con un inizio lento e acustico. Qui si parla di dubbi e fede, speranza in un nuovo mondo, anche quando tutto sembra crollare, fino alla rinascita. Un vero e proprio canto di resurrezione accompagnato da una musica toccante, dove ogni strumento è utilizzato al meglio, ogni nota ha un senso, e tutto l’insieme crea un’atmosfera di attesa e risveglio.

Nel secondo cd la voce guida diventa quella di Sarah Dietrich, la novità dei nuovi Ardecore. A lei spetta il compito di dare luminosità con la sua voce a Io de sospiri, un brano tradizionale romanesco virato in dark, a cui si aggiunge in chiusura la voce di Felici Un piccolo gioiello di cinque righe. Il gioco a due voci si esplica al meglio in

La povera Cecilia, altro brano tradizionale con David Tibet ospite alla voce. Brano già riscoperto da Gastone Pietrucci con La Macina nella versione marchigiana, qui riproposto in una versione dal suono più scuro, narra la vicenda struggente di Cecilia che si dà al capitano nella speranza di salvare il marito imprigionato e condannato a morte. Speranza tradita dal capitano, che dopo la notte d’amore con Cecilia farà comunque uccidere il marito. Metafora del potere, che sfrutta e sottomette il popolo.

La splendida voce della Dietrich la ritroviamo in Vola, vola, una ninna nanna in romanesco con un accompagnamento musicale minimale del pianoforte, e soprattutto nello splendido omaggio alla grande Gabriella Ferri, dal cui repertorio gli Ardecore riscoprono Te possino da tante cortellate.

Chiude il disco Nina viè giù, altro brano tradizionale, e ancora una grande versione prosciugata all’osso, ripulita dai suoni aggiunti nel corso degli anni dai vari interpreti della canzone popolare romana per edulcorare queste storie quasi sempre tristi e maledette.

Un’opera impegnativa e inconsueta nel panorama musicale italiano, davvero coraggiosa. Colpisce come i testi originali siano scritti in maniera davvero popolare, tanto da confonderli quasi con i brani ripresi dalla tradizione, e come però al contempo anche questi ultimi si adattino in maniera perfetta a musiche che, sebbene nascano dalla tradizione, hanno i piedi ben piantati nel rock inglese e americano degli ultimi quaranta anni. Un lavoro che ovviamente non parla della Roma di oggi (lo stesso Felici ammette che chi meglio descrive la Roma di oggi siano i rapper, i veri cantastorie del nostro tempo), ma che comunque non si configura di certo come un’operazione nostalgia.

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