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R Recensione

7,5/10

Beatrice Campisi

Il gusto dell’ingiusto

Uscito a dicembre del 2017, il disco d’esordio di Beatrice Campisi ha rischiato di passare quasi inosservato: troppo tardi per essere considerato nelle classifiche di fine anno, troppo presto per quelle del 2018. Vale la pena invece soffermarsi sull’esordio della giovane cantautrice e musicista siciliana, trattandosi di un ottimo lavoro, esito di un percorso di studi classici (canto e pianoforte al Conservatorio), con ascolti che, oltre alla musica classica e lirica, comprendono folk, jazz, rock e canzone d’autore. Tutte influenze che ritroviamo più o meno evidenti tra le tracce di questo disco, che gode anche della produzione di Jono Manson e dell’aiuto di molti bravissimi musicisti.

Un disco denso di contenuti a partire dal titolo, con quel riferimento al secondo libro delle Confessioni di Sant’Agostino, e di racconti di storie quotidiane e argomenti di stringente attualità, come quello della violenza sulle donne narrato nel brano d’apertura, Avò”, dove la voce di Beatrice Campisi è subito protagonista, con i suoi toni delicati che si innalzano verso l’alto, mentre la musica cresce e si riempie di sonorità e colori.

Molte le sfumature musicali che compongono il disco, dalle sonorità jazzate di Viale della Libertà”, ospite Jimmy Regazzon dei Mandolin’ Brothers all’armonica, ai suoni blues della chitarra elettrica di Jono Manson in “Le temps est perdue”, con Massimiliano Alloisio ospite alla chitarra classica, alla canzone d’autore in chiave jazz “I contorni dei ricordi”, con il magnifico sax di Antonio Marangolo. Il sax che ha accompagnato per oltre trent’anni il meglio della canzone d’autore italiana (Guccini, Fossati, Conte, Lolli) lo ritroviamo nella splendida “Come edera e tango”, aperta dall’arpeggio di Massimiliano Alloisio, un brano che sale lentamente per chiudersi in crescendo con fisarmonica, sax, piano e coro.    

Belle e intense le ballad, da “Filo di fumo”, il cui tema è la fine di un amore, alla poetica (a dispetto dell’incipit “non sono poetessa e non so raccontare”), “Non sono”, accompagnata da arpa e violino, a “Cielo a pois”, in cui si susseguono immagini come fossero fotografie di ricordi d’infanzia, mentre il lato più ironico emerge in “Un sorso dei mezcal” e nel bel valzer “Via Quieta”, su cui dispiega la sue voce splendida.

L’inconfondibile voce di Claudio Lolli apre “Mondo sintetico” leggendo il brano liberamente tratto dalle Confessioni di Sant’Agostino da cui prende il titolo il disco. Un brano dai mille colori, con il basso pulsante e sempre preciso di Rino Garzia, impreziosito dal santur di Alice Marini e da flauto e bansuri di Marina Sartena, oltre che dalla chitarra elettrica di Jono Manson, uno dei brani più riusciti del disco, in cui compare anche un ritornello in dialetto siciliano. Dialetto in cui è interamente scritto il brano conclusivo del disco, “Luna lunedda”, una filastrocca rock con violino e chitarra acustica, bellissima, tanto che si avrebbe voglia di ascoltare ora un suo disco intero in dialetto.

Sostenuta da una band di ottimi musicisti (Riccardo Maccabruni pianoforte, organo, piano elettrico, chitarra acustica, Rino Garzia contrabbasso e basso elettrico, Stefano Bertolotti batteria) sotto la guida esperta di Jono Manson alla produzione artistica, la cantautrice e musicista siciliana Beatrice Campisi si rivela una voce splendida e una bellissima sorpresa.

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