Fabrizio Consoli
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Impegno doppiamente coraggioso quello di Fabrizio Consoli con il suo nuovo album. Coraggioso nel proporre un concept album, un disco che richiede un ascolto attento e completo, in un epoca in cui le canzoni si consumano come noccioline, e coraggioso per il tema scelto, quello dei dieci comandamenti. Un tema che in pochi hanno toccato nella storia della canzone dautore italiana, e quei pochi sono autori talmente grandi (Fabrizio de Andrè in "Il testamento di Tito" dal disco "La buona novella") che il paragone non può non incutere un discreto timore. Lintento di Consoli con questo disco è di raccontare i dieci comandamenti aggiornandoli, a volte completandoli, individuando in essi lunica forza che può fermare il declino del mondo occidentale e della sua civiltà.
Apre il disco il brano "Credo", un Credo laico, di un uomo che, pur dichiarandosi agnostico, in fondo lascia aperte le porte alla fede. Un brano jazzato, con degli ottimi fiati, che nel finale ci portano in unatmosfera a cavallo tra banda di paese e mariachi, fiati che ritroviamo nello strumentale "Processione", e che colorano di sapori ispanici e sudamericani "La fidanzata", uno dei brani più riusciti del disco. Un brano veloce, quasi travolgente, in cui la fidanzata in coma (citazione dal film omonimo che a sua volta citava "Girlfriend in a coma" dei The Smiths) rappresenta unallegoria del nostro paese, un Paese che, annichilito da divisioni, corruzione e inciviltà, sembra incapace di indignarsi veramente. Un paese descritto come una bella addormentata, che aspetta una nuova onda per risvegliarsi dal lungo sonno. Ancora suoni latino americani, e non poteva essere altrimenti, in "Cuba Libre", in cui si cita El Comandante, Santa Clara, la Sierra e lIsola liberata dalla Revolucion.
I ritmi del tango risuonano in "Lultima cena", dove si parla di amore e desiderio (Sfamami, della tua fame, sfamami, Come se fosse un ultima cena per noi, Proteggimi da tutto ciò che desidero), e in "Maria", con piano, fisarmonica e chitarra acustica in evidenza, uno dei testi più belli del disco. Altrettanto bello e intenso il testo di "Partir", un brano lento, in cui prevalgono il piano e i sempre ottimi i fiati, con uno splendido finale in crescendo (Partir, senza aver niente da dire, Senza aver niente da fare, Niente da perdere, Partir senza valigia e biglietto, Partir, sentirsi liberi di credersi liberi). Ancora pianoforte e fisarmonica in primo piano, e ancora un tango, in "La cultura", un brano tanto delicato nei suoni quanto crudo nel testo, nel suo dipingere lo stato di degrado in cui versa la cultura nel nostro paese, per il modo in cui viene trattata (La cultura è una parola ambigua, E fra tutte le parole ambigue, È quella che più nutre sanguisughe). Molto intenso e riuscito anche il lento "Sirena", un brano che colpisce nel profondo e in cui lautore esprime al meglio la sua vena poetica.
Un lento e splendido jazz fa da sfondo a "L'innocenza di Giuda", in cui spicca il solo di tromba, ma ancora una volta è tutta la band che si dimostra allaltezza. Musicisti duttili e preparati, che passano tra i generi musicali con estrema facilità, come nelle due parti de "Il maestro", che troviamo a metà disco in versione quasi country con unarmonica graffiante, e verso la fine in una bella versione jazzata. Il disco si chiude con una versione reprise di "Credo", una versione lenta, solo voce, poche note di piano e una batteria, quasi scarnificata, in cui lingresso nel finale dei violini porta un tocco di serenità e fiducia nel futuro. Un disco davvero coraggioso, dove i dieci comandamenti non sono quasi mai citati espressamente, ma si lasciano intuire tra le righe, e suonato benissimo, da una band di ottimi musicisti, con testi senza sbavature o cadute di tono.
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