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R Recensione

7/10

Gustavo

Dischi Volanti Per Il Gran Finale

Pur nell’evidente impossibilità di rendere anche succintamente conto di stili e tendenze del pop italiano – un mondo da sempre immensamente complesso, il cui equilibrio interno sembra essersi incrinato a partire dall’esplosione del neo cantautorato e dalla definitiva obsolescenza delle barriere concettuali fra indie e mainstream –, i buoni dischi continuano a riconoscersi indipendentemente dal loro incasellamento. La genesi del progetto Gustavo – polisemia portami via – è un surreale misto di raffinatezza passatista e liminalità hipster che merita di essere raccontato: ad un certo punto della sua ventennale carriera Francesco Tedesco, già voce e chitarra dei Da’namaste (discograficamente fermi da “Amore, Tosse.” del 2015), si fa prendere la mano dall’aspetto lirico della propria attività di musicista, creandosi un alter ego poetico con il quale pubblicare su Facebook una serie di poesie che, neanche a farlo apposta, sembrano state scritte solo per essere musicate. Il tentativo sembra funzionare, ma viene congelato dopo poco e ripreso a distanza di svariati anni, con un quartetto che, alla chitarra baritona di Tedesco e alla batteria di Aldo Canditone dei Sula Ventrebianco, affianca il sax tenore di Antonio Di Filippo e la tromba di Gennaro Ferraro.

Per essere un disco nato e cresciuto all’ombra della creazione verbale, “Dischi Volanti Per Il Gran Finale” è uno dei prodotti di genere meglio suonati ed arrangiati di cui io abbia memoria da parecchi anni. Dovessi proporre un paragone diretto, il primo balenatomi in mente sin dal dagherrotipico attacco di accordi slowcore in “Carente Di Note Puntuali”, sceglierei il Paolo Benvegnù di “Le Labbra”: la stessa sofisticata cura fonosemantica nella scelta delle parole, anche in spregio alla limitazione delle battute (“Fallo tu col tuo mantello / Coprimi il viso e col coltello / Fingi di colpirmi al collo, / Così sorrido alla miseria / Di questo gesto incomprensibile”), la stessa certosina attenzione per le armonie strumentali (i fiati dipingono una toccante fanfara funebre), la stessa capacità di contenere le proprie intuizioni nel formato canzone. Il delicato gioco di contrappesi regge bene anche in altri episodi, come nel minimale ed ipnotico post rock bandistico della successiva “Sanbenitos E Berretti Da Somaro”, nelle vigorose scariche elettriche che accendono di free la tromba della title track (ottimo e ben mascherato esercizio prog), negli accenti jazz della ballata d’autore “Buon Giorno” (ci si risentono certi Virginiana Miller) e nello swing noir di “Senza Titolo”, che si apre su un bel ritornello ritmico (“Di una coperta so che devo farne / Coprirmi ancora parte della carne / Distratto muovo passi e sul da farsi / Rimando il desiderio di fermarsi / Prendo uno straccio e stringo forte il polso / Sarò puntuale quando arriva l’orso / Mi faccio spazio in questa tela scura / Sorrido mentre me ne prendo cura”).

È difficile valutare nel complesso l’apporto lirico del disco, che ad immagini di grande suggestione ed accostamenti inconsueti (il piccolo ed inquieto trotto di “Piani”, altro slowcore di livello, è delizioso anche sul piano dell’intreccio acustico: “Parto col piede sinistro / Quello opposto al destro / E mi desto da quest’incubo / Che mi vuole buono, giusto e guasto”) sovrappone da un lato intellettualismi di maniera (i realia quotidiani snocciolati nel lento pianistico, à la Non Voglio Che Clara, di “Incubi”), dall’altro inaspettate irruzioni salaci – si ascolti la wave barricadera del manifesto “Gustavo (1797 – μονογραφία)” –, improvvisi abbassamenti di stile (il ritornello strascicato de “I Fiorellini Del Male”) e stoccate in punta di missile (il robusto indie rock à la Knack di “S.B. Docet”, un po’ fuori luogo). A lungo andare, insomma, l’effetto saturazione si fa tangibile e non è forse un caso, paradossalmente, che tra gli episodi migliori della scaletta spicchi il jazz modale formato Nineties di “Rbpj”, unica strumentale del lotto: segnalazione di una mancanza, da un lato, e di una possibile evoluzione futura, dall’altro.

Ora che l’anno volge al termine e si comincia a dar fondo all’opera di recupero dei titoli dei mesi trascorsi, includere “Dischi Volanti Per Il Gran Finale” nella lista potrebbe essere una buona idea.

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