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7/10

Ila Rosso

Secondo me i buoni

Dopo l’esordio di due anni fa, che ha portato Ila Rosso all’attenzione del pubblico come una delle voci più interessanti della nuova generazione della canzone d’autore italiana, il cantautore torinese torna con il nuovo lavoro Secondo me i buoni a raccontarci la realtà che ci circonda, ed i personaggi che la popolano, con la vena ironica con cui già aveva colpito in La Bellapresenza

E proprio dalla sua Torino parte il disco, con la Canzone dei Murazzi, luogo per eccellenza della movida notturna e alternativa della città sabauda, ormai in declino. Una ballata alla Brassens (Ilario sarà ormai stufo di sentirselo dire, ma a quanto pare l’impronta del francese è sempre ben presente nella sua scrittura), e un testo che non lascia scampo (io tengo stretto un posto nella mia inutilità, tra chi già si è arreso e chi si arrenderà, e si trascina a stento nella società, un inetto che transatto troppo ha). Con lo stesso sarcasmo, nella rock ballad Casi popolari dipinge una società che non solo non ha un futuro, ma forse nemmeno più un presente (scaraventati sui nostri divani, sempre più incerti del nostro domani), e una generazione Inconcludente (la sua?) che  passa le nottate a bere e fare tardi, e rimandare tutto a domani.  

E’ la fotografia di una società addomesticata da computer e televisione, i cui interessi principali sembrano le partite di calcio e le puntate da non perdere di qualche serial, e in cui la tv diventa quella macchina infernale descritta in Cerco l’azzurro (riferimento alla nazionale di calcio, le cui vittorie sembrano essere l’unico momento di unione del paese). In La storia è sempre quella (ancora un brano che deve molto alla canzone francese e a Brassens, con il suo arrangiamento per sola voce, chitarra e contrabbasso) l’ironia punta sulla difficoltà di vivere oggi, in questo paese, con la cultura (e forse anche un po’ sulla propria appartenenza alla scena cantautorale).

Sparsi nel disco, troviamo anche riferimenti più o meno espliciti alla canzone d’autore italiana. Nella allegra e ritmata Filastrocca dei mesi (come non pensare alla Canzone dei dodici mesi di Guccini?) si prende di mira il sessantotto (il sessantotto è stato uno, tutti gli altri son nessuno), e La canzone cafona, con un ritmo da slow reggae, è uno sfogo contro tutto e tutti, quasi un’Avvelenata (ancora il Maestro?) che cita anche gli Skiantos. In Galeotto e libertà, un brano lento, con il solo accompagnamento del piano e la voce quasi sussurrata di Carlotta Sillano, l’ironia lascia spazio alla poesia e alla delicatezza per un tema serio, profondo, come quello trattato nel rock d’autore di I morti.

Se la capacità nella stesura dei testi di Ila Rosso era ormai assodata, in questo secondo lavoro colpiscono anche gli arrangiamenti, prevalentemente acustici, sempre curati e molto vari, che spaziano dalla canzone d’autore classica al folk, con un uso sempre molto attento degli archi, sovente unico accompagnamento dei brani, come nella conclusiva Rap_porto, arrivando anche a toccare il tango nel Tango dei puri (uno splendido brano sull’amore cantato con enfasi), e convincendo in pieno con la Ballata degli ultimi ubriaconi, un lento il cui arrangiamento (solo tromba e trombone ad accompagnare la voce) ne fa un brano dall’atmosfera notturna e un po’ ubriaca, degno del miglior Tom Waits.

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