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R Recensione

7,5/10

Marco Cantini

Siamo noi quelli che aspettavamo

Con il suo secondo disco, il cantautore toscano Marco Cantini ci propone un viaggio nella Bologna a cavallo tra gli anni ’70 e gli ’80, per raccontarci, attraverso una vera e propria opera in tre atti, un pezzo della storia del nostro paese. Definito come un  concept storico-generazionale, Siamo noi quelli che aspettavamo si dimostra da subito come un lavoro coraggioso e impegnativo. Lo spunto del racconto è un professore precario di oggi, che in sogno si ritrova nella Bologna del ‘77.

Il Prologo del racconto, l’Ingresso nel sogno, inizia con Centrale dei desideri, una descrizione di Bologna e di quell’epoca storica confrontata con l’oggi: i sogni che non si sono realizzati, quello che doveva accadere e questo nulla atroce del presente, e la sensazione di essere, oggi, naufraghi in un golfo senza mare.

Il primo atto, Bologna 77, si apre con Stock 84, una ballad che ci porta nel cuore del racconto della contestazione, a volte anche violenta, degli scontri di piazza e della repressione, a cui segue Dopo la rivoluzione: le droghe pesanti piombano sul movimento, e arriva la rivoluzione del punk. Rivoluzione non solo musicale, ma culturale, che qui si riflette sul fumetto. Il lento Tranches de vie racconta di grammi di bianca e di brown, ma anche della Traumfabrik, la fucina del nuovo fumetto creata da Stefano Tamburini, e i Cinque ragazzi dell’omonima folk ballad (ospiti alle voci Erriquez della Bandabardò e Luca Lanzi della Casa del Vento) sono i padri di questa rivoluzione del fumetto punk.

Da qui uscirà la prima vera rock star del fumetto italiano, Andrea Pazienza, cantore della rivolta, a cui è dedicato il brano Pazienza del secondo atto, il cui tema sono gli incontri. Oltre a Pazienza, troviamo infatti Frida Kalo in L’esilio, raccontato con solo voce e chitarra, Fellini in Vita e morte di Federico F, e Pier Vittorio Tondelli in Soffia profondo Pier, un brano lento e intenso, con la voce ospite di Massimiliano Larocca, in cui si lasciano alle spalle gli anni ’70 per entrare nel decennio successivo (svaniva il tempo delle illusioni dentro gli anni ’80), con il cosiddetto riflusso, l’arrivo delle tv private e la colonizzazione dell’immaginario raccontata in Technicolor con la voce ospite di Giorgia del Mese, ad annebbiare le menti e intorpidire le coscienze (un popolo viene nutrito da rituali e rassicurazioni). Le due righe di Cafe de la terrasse, con la voce di Cantini accompagnata solo dalla splendida chitarra di Maurizio Geri, chiudono la seconda parte del racconto e con essa il sogno.

Con il terzo atto, Risvegli, torniamo al presente e usciamo Fuori dal sogno. Il risveglio del professore è il ritorno alla realtà, la presa di coscienza di essere stati delle cavie sulle grandi ruote dell’opulenza degli anni ’80. Da qui nasce la scelta di andarsene di Preludio all’addio, di non restare nei bordi, nei modelli rigidi imposti dalla cultura dominante, per non diventare inutili e sciacalli. Quindi, In partenza, per non sottostare a quel pensa liberamente ma obbedisci per sempre, quella Libertà obbligatoria  già raccontata da Gaber.

A completare un lavoro già di per se ottimo, Contini trova l’aiuto di un vero e proprio parterre de rois di oltre venti tra cantanti e musicisti, tra i quali il già citato Maurizio Geri, presente in tutti i brani alla chitarra, Gianfilippo Boni, al piano oltre che alla produzione artistica del progetto, Lorenzo Forti, Francesco Fry Moneti dei Modena City Ranmblers, Marco Spiccio, e lo splendido sax di Claudio Giovagnoli. Un ottimo disco, che racconta un periodo cruciale della storia recente del nostro paese, inserendosi a pieno titolo nella tradizione della migliore canzone d’autore italiana.

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