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R Recensione

7/10

MassimoDonno

Amore e marchette

Capita di rado di farsi sorprendere da un esordiente, da un artista di cui fino al giorno prima magari non si sapeva nulla o quasi. Ma quando capita è sempre un piacere che ti ripaga di ore e ore di ascolti di dischi poco più che inutili. E’ quello che succede con questo disco d’esordio del cantautore pugliese, che sa sorprendere ed emozionare come quando da ragazzi si scopre un disco di quelli importanti. In realtà non di esordio vero e proprio si tratta. Massimo Donno ha alle spalle un percorso che dura da più di dieci anni, che l’ha portato dal gruppo folk Allegra Brigata Bodhran alle fasi finali del Premio Bindi e del Premio Musicultura, passando per una nutrita serie di lavori teatrali (uno dei quali sulla vita di Fabrizio De André). Ma è solo nel 2012 che decide di iniziare una vera e propria carriera solista, lavorando a questo suo primo disco solista, Amore e marchette. Un disco (che gode della pregevole introduzione di Oliviero Malaspina) in cui si incontrano le radici musicali dell’autore, dal folk al jazz, dalla canzone d’autore italiana agli chansonnier francesi, dal tango allo swing.

E con lo swing dell’omonima Amore e marchette si apre il disco, un brano colorato dalla splendida chitarra di Maurizio Geri, con citazioni di classici della musica leggera italiana del passato (Parlami d’amore Mariù, Il Pinguino innamorato, Maramao perché sei morto, Mille lire al mese) per raccontare in maniera ironica che anche nella musica per lavorare ogni tanto ci si trova a dover sottostare a compromessi. Jazz e ironia, due delle armi vincenti di questo lavoro, le ritroviamo anche in Il mio compleanno (presente anche un’ottima sezione fiati) e in Le vetrine, dove a dare il tempo è il violino di Francesco Del Prete, e il testo racconta un incontro fatale con una donna, che alla fine si rivela essere un manichino: finale che apre alla critica sociale (tanto in fin dei conti, siamo manichini pure noi, tutti immobili e di plastica, siam vestiti da qualcuno, siamo vuoti ed in vetrina, e facciam vedere il culo). Il jazz, nella sua variante manouche, fa la sua comparsa anche in Oltre, con chitarra e fisarmonica che dialogano alla grande, e un testo molto originale, per un brano debitore della miglior chanson francese. Il jazz incontra la canzone d’autore in Il bianco e il nero, dove spicca l’ottimo flauto di Gianluca Milanese, flauto che prende accenti di free jazz nel finale di Piccola storia, uno slow dall’atmosfera jazz, una storia piccola ma grande come tutte le storie d’amore.

L’anima folk di Donno la troviamo nell’arpa celtica de La colpa, una ballad dal sapore della filastrocca che ci racconta i tanti difetti dell’essere umano, e nella fisarmonica di Luca Barrotta che in Bologna A.D. 2012, insieme al flauto, ci porta in giro per una Bologna vista con gli occhi di un salentino, una Bologna in cui di notte non si beve più (a chi serve sentire di notte la musica, sentire un bel brindisi). Colpisce anche la profondità dei testi, in particolare quelli di Valzer del lavoratore atipico, un lento, accompagnato solo da chitarre e batteria, e di Tango, dove l’autore si interroga sul senso dello scrivere, e in cui troviamo la voce registrata di Pier Paolo Pasolini ancora una volta, come sempre, illuminante. Tra folk, jazz e canzone d’autore, Massimo Dunno ci fa pensare e sorridere, anche della morte, ironizzando e trattando con allegria il momento finale della vita in De profundis, un brano in puro spirito Brassens. Fatevi un regalo a Natale, comprate questo disco.

 

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