R Recensione

7,5/10

Jean-Jacques Goldman

En Passant

Jean-Jacques Goldman in Francia è un'istituzione. Come Lucio Battisti, Fabrizio De André o (abbassiamo il livello) Vasco Rossi entro i patri confini.

Forse perché rispetto agli altri chansonnier è un filo più “normale”, meno oltraggioso, meno crudele. Non sputa amore al vetriolo come Brel, non ghigna sotto la pioggia come Gainsbourg, non urla come Ferré.

Scrive però pezzi memorabili, e di una varietà stilistica se possibile ancora superiore a quella degli illustri predecessori. Non è un caso se Goldman induce la critica d'oltralpe a parlare di varietè française: come un Lucio Battisti parigino (le affinità si fermano qui però) riesce a bucare le classifiche sperimentando senza sosta, portando la tradizionale ballad struggente degli chansonnier verso luoghi sempre più originali e insoliti, in termini di arrangiamento, di novità stilistiche, di idee rubate.

Rimane sempre accessibile e molto radio-friendly, peraltro.

Il romanticismo esibito di brani meravigliosamente mielosi come “Pas Toi” o “Puisque tu pars” sembra mediare fra la potenza espressiva di un Brel e il melodismo ammiccante di un Ryan Adams in versione transalpina, se non (perdonate l'accostamento un po' blasfemo) di un Bon Jovi. Non è un caso se Jean-Jacques ha scritto pezzi per un'orda sterminata di artisti, orda che comprende la pupilla Cèline Dion: l'amico di Parigi è un romanticone, a volte un po' all'acqua di rose, ma ha un talento compositivo sopraffino che ti costringe a perdonargli certi scivoloni.

I suoi singoli sono quasi sempre veri e propri gioielli: merito non solo di una facilità di scrittura unica (Goldman è un talento naturale, nonché apprezzato multistrumentista), ma anche di una voce potente e ariosa, che conserva una forma di purezza post-adolescenziale maggiore, rispetto a quella di quasi tutti i grandi di Francia.

Anche quando registra “En Passant”, e Jean-Jacques adolescente non lo è più da un pezzo (parliamo di un quarantaseienne).

Se cerchiamo qualcosa che incarini il Varietà Francese, forse dobbiamo mettere nel lettore proprio En Passant. Sul piano del songwriting, non ci sono le algide vette di purezza accorata di alcuni fra i singoli migliori, ma Goldman rimedia ampiamente in termini di capacità di produzione e di eclettismo stilistico.

Le dolci percussioni latine, i violini e l'armonica a bocca di “Sache Que Je”, prima di una lunga serie di ballate quasi barocche, sono il preludio a un compendio di idee con pochi passi falsi.

Bonne Idée” è una pop song che scorre liscia come l'olio, arrangiata sempre in modo intelligente: ricco ma un passo dietro l'eccesso. Goldman sembra sapere perfettamente fino a che punto può arrivare, e quindi evita di strafare. I complicati meccanismi delle vicende amorose (ok, non vincerà il nobel per l'originalità) sono il tema portante. “Tout était dit” suona vagamente gainsbourgiana, o quantomeno l'avrebbe scritta un Serge meno perverso e più “bravo ragazzo” innamorato, che mantiene la calma anche al momento del rendéz-vous.

Le background voices in odore di gospel sono il fiore all'occhiello. “Quand tu Danses” è zuccherosa fino al midollo, ma per il sottoscritto, incline a commuoversi facilmente davanti a queste dediche d'amore accorate, non ha una nota fuori posto: giro di chitarra semplicissimo, la melodia al miele (un Renaud meno rocker ruvido), un tappeto d'archi all'orizzonte.

Juste quelques Hommes” cambia registro in ogni senso: una foschia di tastiere in odore di new-wage accompagna un'enfatica melodia da neo-romantici, e questa volta si parla del coraggio degli scalatori, della solitudine delle nevi eterne (tema da sempre molto sentito da Goldman). Sembra di essere dalle parti dei Blue Nile, e allora – per una volta – scomodare la parola capolavoro non è un errore.

On Ira” ritorna sui territori di caccia prediletti: pianoforte e chitarra, scrittura accurata ed equilibrata (mai troppo easy, mai troppo elaborata), un solo di sassofono molto new romantic. La “title-track” echeggia il pop orchestrale di uno Scott Walker in modalità Brel, entrambi però in versione Bon-Jovi-oriented (comprendo la vostra perplessità, ma forse un ascolto può fugare ogni dubbio per l'accostamento). Forse è un po' troppo lunga, ma si lascia apprezzare.

Poco male: la qualità media rimane elevatissima, anche se forse per apprezzare il meglio di Goldman le raccolte rimangono lo strumento migliore, un compendio della sua ispirazione in fase di songwriting.

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