Serge Gainsbourg
Serge Gainsbourg - N. 4
Nel 1962 un Serge Gainsbourg trentaquattrenne si avvicina con nonchalance e con la consueta, distante eleganza alla maturità.
Il disco n. 4 mi affascina per il suo eclettismo. Serge è già spigoloso e cinico quanto basta per trasformarsi in personaggio di spicco della scena, ma qui lascia il segno oltre che per il meraviglioso connubio di filosofia, poesia e vizio, miscelati come riusciva solo al nasone dagli occhi perennemente immersi in una foschia lontana anche e soprattutto per la capacità di muoversi con disinvoltura fra generi diversi.
Boris Vian rimane la colonna portante, ma Gainsbourg questa volta indossa i panni del musicista completo. Tanto jazz, naturalmente, e altrettanta chanson dautore, recitata con un filo di voce.
Ma qui sono gli arrangiamenti a fare la differenza: Les Goemons è pop velato di nero ma ricco di sfumature orchestrali, con archi e flauti bravissimi a gonfiarsi di una tensione che non si scioglie mai. La melodia? Di fatto, tre brevi incisi che si avviluppano senza variazioni, eppure funzionano benissimo.
Black Trombone è fedele al titolo, un jazz felino, ordinario nelle strutture ma frizzante al punto giusto, con gli ottoni che si scambiano saluti cordiali mentre Signor Decadenza riesce a essere un attore e cantante di primordine, di fatto, parlottando. Baudelaire non è solo lomaggio a uno fra i massimi ispiratori, è anche una splendida melodia arcuata e ariosa, quasi soffice mentre si rotola sul tappeto di legni e ottoni, a suo agio fra ritmiche dalle sfumature latine.
Intoxicated Man è un classico del vizio, un pezzo che parla di allucinazioni prima che venisse in mente di farlo a John Lennon e allamica Lucy, ma anche a Syd Barrett. Serge vede elefanti rosa e ragni enormi sulla maglia, mentre lamore si dissolve, diventa quasi qualcosa di innaturale: tutto il mondo è chiuso dentro la stanza. Chi definiva Gainsbourg un cinico? Beh, ecco, questo pezzo è una delle tante manifestazioni ciniche, amare eppure compiaciute, del canzoniere di Serge.
Les Cigarillos volta pagina, con i ritmi accentati ed elastici che portano dalle parti di Copacabana, con il sassofono che danza felpato e discreto. Requiem pour un twisteur usa il piano elettrico, mentre sussurra vaporosa e agile dentro schemi vagamente soft-rock. I brani successivi ritornano su territori latini, e in particolare dalle parti del Brasile: quasi un jazz dalle marcate sfumature brasiliane che accompagna melodie francesi divertite e mobili, mentre Villaines Filles, Mauvais Garçons a me suona come uno strano ibrido folk/pop-chanson con tanto di voci femminili sulla parete. L'ultimo brano, incredibile a dirsi, è una specie di country-rock d'annata, in teoria la cosa meno fracese che possiamo immaginare (ma a Serge importa ben poco: "Un Violon Un Jambon" è una corsa a cavallo senza intoppi).
I tempi di Jane Birkin e Brigitte, dei rasta e di Gainsbarre sono ancora relativamente lontani, ma il succo dellartista Serge è già in posa, pronto per farsi scattare una fotografia. Sarà pure meschino e scorretto, questo brutto ceffo, ma davvero non sbaglia niente.
Tweet