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R Recensione

6,5/10

Jamie Saft & Bill Brovold

Serenity Knolls

Racconta Jamie Saft che vivendo a Brooklyn si trovava immerso in un continuo bagno di rumore, misurato in circa 40 decibel costanti, derivante dall’incessante movimento della metropoli. Un sottofondo che il musicista si era abituato a definire “l’oceano cittadino”. Da quando le Catskills Mountains, e Kingston, nell’Upper State di New York, sono diventati il luogo di residenza della sua famiglia, il rumore è cessato del tutto per lasciare il posto al silenzio delle sterminate foreste, a panorami naturali che hanno prodotto un mutamento nell’uomo e nel musicista, modificando anche la sua attitudine nei confronti della musica. “Prima tendevo a forme musicali più aggressive e heavy” - ci ha spiegato il pianista statunitense - “mentre adesso, passando lunghe ore immerso nella natura, anche la mia musica è diventata più contemplativa ed assorta, più profonda”.

Tra “Black Shabbis”, il suo album heavy metal del 2009 sulle persecuzioni sioniste, e questo “Serenity Knolls” inciso in duo con Bill Brovold c’è tutto il percorso di cui sopra, costellato da una moltitudine di tappe intermedie in territori di confine fra il jazz ed il rock. Allora feroci riff ispirati a Slayer e Black Sabbath ed un enigmatico growl, ora un disco composto da una serie di duetti che hanno come esclusive protagoniste la chitarra elettrica arpeggiata da Brovold, leader dei Larval, ensemble post rock di Detroit, e la lap steel o il dobro nelle mani di Saft. Lo scopo è quello di creare una sorta di colonna sonora degli sconfinati panorami che offre la natura in America tra laghi, fiumi, foreste e, appunto colline di serenità. “Country ambient” l’hanno definita i creatori, ed in effetti lungo le dodici tracce prevale la costruzione di atmosfere piuttosto che l’evocazione di definite parti tematiche e melodiche. Saft, lungi dal ritenersi un virtuoso della lap steel, esprime con un fraseggio evocativo ed intenso la sonorità del suo strumento, alternando episodi delicati come la title track o “Thermopolis” a tracce di maggior efficacia drammatica, quasi una rappresentazione dell’impotenza umana di fronte all’inesorabile forza della natura (“No Horse Seen”, “Greybull”). Non giova all’opera l’eccessiva durata e la ripetitività del modulo espressivo scelto, ma, in questo caso, gli autori non sembrano preoccupati dalla creazione di una proposta accattivante, puntando, piuttosto, ad una dimensione spirituale e trascendente.

Serenity Knolls” richiede immersione profonda e dedizione esclusiva. Da ascoltare ad occhi chiusi dopo avere mandato a memoria le stupende immagini della confezione.

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C Commenti

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Marco_Biasio (ha votato 5,5 questo disco) alle 11:05 del 22 marzo 2017 ha scritto:

Capisco cosa abbia spinto Saft ad incidere un disco del genere, che per certi versi è anche affascinante, ma che è decisamente troppo lungo e monocorde per poter affascinare. Condivide, a posteriori, lo stesso difetto di Black Shabbis: poca variazione e il vizietto di allungare la narrazione molto più di quanto sarebbe necessario. Un peccato anche nella forma, perché l'americana non necessariamente vive in queste forme da cartolina contemplativa. Ci sono tutta una serie di tensioni irrisolte che qui vengono liquidate in virtù di un unico grande peana strumentale, pacificato e pacificatore. Trascurabile.