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7/10

Johnnie Selfish & the Worried Men

Kauntri Muzik

Tra tutti i generi musicali di importazione dall’America del Nord, il country è senza dubbio il più difficile da proporre al pubblico italiano. Una musica inscindibilmente legata alle radici del suo territorio d’origine, molto distante dalla nostra tradizione, ed anche dai suoni anglo-americani che dominano il mercato anche da noi (pop, rock). Eppure ci sono anche in Italia molte formazioni che al country si ispirano, chi in modo più ortodosso e fedele allo standard originale, chi cercando di apportare modifiche e innovazioni, adattandolo alla propria cultura e sensibilità.

La proposta di Johnnie Selfish & the Worried Men appartiene senza dubbio a questa seconda categoria, pur essendo talmente dentro alla cultura country da andare a registrare il loro terzo disco nella patria di questa musica, Nashville, con la produzione e la regia di John Wheeler degli  Hayseed Dixie, band tra le più amate al momento tra quelle che hanno contribuito alla rinascita del genere ed alla sua diffusione tra il pubblico più giovane.

In occasione delle date italiane della band americana, i milanesi propongono a Wheeler di produrre il loro nuovo cd. Questi risponde positivamente, offrendosi di venire in Italia, oppure di ospitarli a Nashville nel suo studio. Ovvia la scelta, e così Johnnie Selfish & the Worried Men si ritrovano nel cuore del country a maggio dello scorso anno, a registrare, in soli nove giorni, queste quattordici canzoni.

Un disco sorprendente, in cui il country è solo un punto di partenza, una base su cui innestare anche sonorità di derivazione europea. Lo dimostrano le due cover presenti nel disco: l’antinuclearista Radioactivity (dei Kraftwerk) rivisitata in occasione del referendum contro il nucleare dello scorso anno, trasformata in una geniale versione dalle tinte rockabilly, e l’incrocio di generi e culture perfettamente riuscito di Letter To The Censors (dei francesi Mano Negra, riconosciuti apertamente da Johnnie Selfish & the Worried Men come loro fonte di ispirazione).

In realtà, già il titolo del disco, storpiando la parola country, spiega molte cose di questo lavoro, e del tentativo della band di creare una sorta di country italianizzato, una patchanka in cui si incontrano le radici musicali europee e quelle dell’America rurale, un country zigano mitteleuropeo, di cui troviamo evidenti tracce nella title track, in The Funeral, e in Zaporozhe, brano in cui si racconta della rivoluzione arancione in Ukraina.

Nell’unico brano ripreso dalla tradizione, Uprising, si passa dal country a melodie dal sapore jazz ma anche punk, con uno sguardo su temi di attualità che ritroviamo in tutto il disco (in questo caso si parla delle guerre in Medio Oriente, dalla Libia alla Siria). In Nothing To Sing About, un classico country, con tanto di pedal steel ad opera di Mike Daly, se la prendono ironicamente con chi non ha niente di importante da dire nelle proprie canzoni, a dispetto di tutto quello che succede nel mondo (What about corrupted politicians? What about this government? What about pain this live has given, To those who sit in misery, I’m one of them, yes I’ve tried my best, But I can’t find nothing to sing about, Lord). Con This Machine Kills Fascists arriva anche l’omaggio al grande padre del folk (era la frase che Woody Guthrie portava scritta sulla chitarra) con il violino di John Wheeler per un country tirato con un testo che dichiara senza paura da che parte stanno i Worried Men.

Con questo disco Johnnie Selfish & the Worried Men riescono a dimostrare che il country non è un genere legato al passato, anzi risulta molto attuale, grazie ad un approccio punk che emerge in Western Civilization, dove sembra quasi di sentire il Joe Strummer dei dischi solisti, in Duna River Blues, brano molto alla Clash, o nel rock tirato di Buffalo Skinners, la cui atmosfera può ricordare il grande Stan Ridgway dei Wall of Voodoo.

Un disco suonato e registrato ottimamente, con il solo ausilio di strumenti a corda, ottimi cori e perfetti soli di chitarra che non si tramutano mai in pura esibizione tecnica, ed uno sguardo attento e mai banale a quello che succede nel mondo. Un lavoro davvero originale.

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