Mojomatics
Songs for Faraway Lovers
...ed approda a questo Songs For Faraway Lovers, il carrozzone sgangherato dei due Mojomatics, sferragliando sull'autostrada 61 e attraversando a perdifiato le sterminate praterie del country-blues. Trascorsi gloriosi nel garage rock, giunti alla terza prova i Mojos addolciscono leggermente il loro suono, ma del garage mantengono sintesi e tiro, a creare una sorta di bignami multicolore del rock anni '60, condensando quanto di meglio quegli anni hanno saputo trasmettere ai posteri.
Rock venato di country e tinto di blues, alla maniera dei Rolling Stones e degli Yardbirds più classici, attitudine proto garage, e scarne quanto immediate sequenze sulle orme dei Kinks, organetto e armonica a spingere e talkin' blues dylaniani, chorus a tradimento e colpi di scena melodici nel solco di Beatles e Box Tops. Lunghezza media dei pezzi: tra i 2 e i 3 minuti. L'America riletta dall'Inghilterra ri-riletta all'Italia. C'è tutto questo è molto di più, in questo Songs For Faraway Lovers, uno di quei dischi che ti riconcilia con la tradizione del rock e che ti spiega perché, non sempre, la parola revival deve suonare come una parolaccia.
Un disco che parte bene e finisce meglio, roda un po' e a metà strada decolla definitvamente, con una sequenza da brivido: il country-blues a-rotta-di-collo Leave This Town, gli Stones che suonano con Johnny Cash alla Folsom Prison, il garage-beat immenso tra Beatles, Kinks e Animals di The Last Train, I'll Be Back Home, di nuovo Stones, di nuovo Dylan, la Band che fa capolino dietro le quinte, l'impavido rock'n'roll country-western di Hard Travellin, solo per citarne alcuni. Il disco, comunque, merita tutto: dall'inizio alla fine. Roba da rendervi degli ossessivi compulsivi del tasto play.
La macchina del tempo è partita: inutile cercare di fermarla, tanto vale farsi travolgere, dimenticando gli snobismi post-moderni e i pregiudizi pseudo-intelletualistici: i Mojomatics sapranno ripagarvi generosamente...
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