Jessica Pratt
On Your Own Love Again
Come per lesordio (omonimo) Jessica Pratt, classe 1987, va, ispirata, di acoustic folk a cascata. Spoglio, On Your Own Love Again: ricorsivo di flussi melodici in fingerpicking, sovrapposti ad un cantato sfumatissimo nella sua apparente linearità: tepore sparso ovunque, sbuffi gallinacei (Joanna Newsom), radi abbassamenti tonali, collante fanciullesco. Sicché, messa a nudo di tenebre (la recente morte della madre; lamore perduto) su registri sobri, tristezza levigata e levigatura di ogni eccesso; eleganza spontanea scevra di lustrini e abbellimenti ridondanti.
Lhome recording diffuso di On Your Own Love Again si fa più maturo rispetto ai bozzetti del primo disco: in termini di songwriting la Pratt esce dallombra, restituendo composizioni finalmente salde e senza cedimenti; per estetica, impressiona la gestalt dream folk ("Moon Dude") come culla di fascinazioni 70s e sfumature psichedeliche (Game That I Play), le quali consentono unimmersione ipnotica allascolto la catarsi nella spinta sottopelle del mellotron in Wrong Hand, per dire.
Lavora bene, la Pratt, di coretti e armonie assonnate (Strange Melody, "Game That I Play"); altresì, nella dinamica delle traiettorie arpeggiate e ritmate, di splendida compattezza dreamy - che donano al disco una tacita fascinazione pop.
Sempre in bilico tra passato imponente (Joni Mitchell, Stevie Nicks primi Fleetwood Mac, Nick Drake, David Crosby) e posa moderna (Bonnie Prince Billy, Bill Callahan, Laura Marling), On Your Own love Again impressiona per certi apici raggiunti (Graycedes, Back, Baby) e per personalità - pur nella formalità folk qui proposta. In punta di piedi, unartista dal futuro, da oggi, già spianato.
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