American Music Club
California
La California sarà anche la patria del sole, dei costumi attillati di Baywatch e di Hollywood, ma secondo me non tutti se la passano bene da quelle parti.
E' sufficiente fare due conti per non contraddirmi: la celebre e fastosa terra dei beach party negli ultimi decenni ha partorito i padri del metal più estremo (gente che inneggia alla dissolvenza nel nero, o parla di "uccidere tutti"), l'hardcore più furente e nichilista, e pure un manipolo di musicisti folk introversi, malinconici e torvi come una stanza in cui hanno appena spento il fuoco.
Mark Eitzel padroneggia l'ultima schiera con i suoi American Music Club; e non può essere un caso se il suo capolavoro si intitola proprio "California": uno schiaffo potente a tutti i luoghi comuni sulla terra del divertimento, perché evidentemente smarrimento, desolazione e inverni cupi esistono anche laggiù.
Gli American Music Club sono Nick Drake catapultato dalle campagne piovose della Gran Bretagna alle praterie immense e luminose del Far West, o forse fra le luci saettanti delle metropoli della west coast. E molto altro ancora, perché il campionario di Eitzel non si fa mancare nulla: l'eleganza incupita di Cohen, il sospiro allucinato di Neil Young, qualche ombra psichedelica a farsi largo fra le maglie di un folk scarno, compatto, morbido (reminiscenze Buckleyane che si materializzano un po' ovunque).
Il risultato è toccante, apre la strada alla mestizia ancor più nera di un Mark Kozelek, e forse anche all'immobilismo inquieto e paludoso di molti fra i musicisti slow-core che verranno: giusto per fare qualche nome, pur nella enorme distanza che separa i riferimenti e le fonti, gli Slint di "Washer" o i Codeine di "Frigid Stars".
"Bad Liquor" è un folk-blues-rock che si nutre dei sixties e poi li frantuma che è una bellezza, anche perché la voce di Etizel graffia e si incarta molto più del solito.
"Blue and Grey Shirt" è così raffinata che sembra voler dare un suono al respiro, mentre si libra con sfumature vagamente psichedeliche e mette sul piatto un testo da capogiro, immagine sbiadita di party di fine estate a base di malinconia:
"I sat up all morning and I waited for you
With my blue and grey shirt on
Yeah I thought that's my lucky one
I'll sit and face the road now
I don't have a heavy load now
I got nothing to keep me hanging around here
From now on"
Anche "Firefly" si innalza piano piano in una melodia classica giusto un filo più movimentata della media, e dimostra ancora una volta che Eitzel è fra i pochi che sanno combinare testi e composizione per ricavarne il meglio. Con "Highway 5", invece, ci si muove in direzione Talk Talk, rivisitandoli in chiave folk americana: la base armonica lentamente si annulla, mentre la musica è talmente rarefatta da dissolversi.
L'impressione finale è la stessa che lasciano gli importanti nomi di cui sopra: musica solenne che mette in mostra i crepacci dell'anima; gentile, elegante e capace di esorcizzare le stesse inquietudini che riesce ad evocare. In fin dei conti, una musica grandiosa nella sua dolce timidezza.
Non pensate di divertirvi troppo, dunque: anche se la festa è ancora nel vivo, Mark s'è già messo la sua maglia blu e grigia, e vi aspetta tutti al varco.
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