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R Recensione

10/10

Bob Dylan

Desire

Now all the criminals in their coats and their ties

Are free to drink martinis and watch the sun rise

While Rubin sits like Buddha in a ten-foot cell

An innocent men in a living hell

That’s the story of the Hurricane

Nelle righe dell’opener “Hurricane” dell’album “Desire” Bob Dylan ci copre con un profluvio di otto minuti e mezzo di narrazione, facendo emergere un esuberante universo pieno di turbamento e vigore, a riportare la sciagura del personaggio di cui racconta davanti ai nostri occhi, lasciandoci fin dall’inizio senza fiato. Il geniale menestrello con la sua canzone socio-critica ha reso pubblica l’ingiustizia delle autorità americane che, nel 1966, hanno imprigionato il pugile afroamericano Ruben “Hurricane” Carter per omicidio – un errore grossolano. La storia è stata portata anche su pellicola da Norman Jewison, che ha tratto ispirazione proprio dal pezzo in questione per il motivo centrale, a ricreare visivamente quello che Dylan era riuscito ad esprimere attraverso semplici parole. L’ostinazione con cui Dylan spinge fuori le sue lamentele e l’incredulità con cui si riferisce alla giustizia americana dell’epoca (e con cui ha portato alla ribalta dei media il caso) sono della stessa tempra di passione e furia che deve aver provato Hurricane, l’uomo solitario che poteva essere il “campione del mondo”, se non avesse dovuto consumare tutte le sue energie per combattere una battaglia di 16 anni in prigione da Davide contro Golia per “ripulire” il suo nome.

Molti sono dell’opinione che “Blood On The Tracks” sia l’ultimo capolavoro di Dylan e che “Desire” (dai nostri genitori, meno familiari con l’inglese, a volte amorevolmente chiamato Désiré) non solo non aggiunga niente di nuovo, ma in più glorifichi un campione di boxe e un gangster di Little Italy (“Joey”): interpretazione affrettata ed errata, che non dà giusto credito ad un album eccezionale. “Hurricane” non è solo una canzone dignitosa al livello di altri goielli dylaniani più noti, ma è anche l’opener di un album che giustamente può essere considerato una delle opere d’arte di Dylan (e non solo del Dylan anni settanta) per la sua lirica strepitosa ma anche per la sua complessità musicale, manifestando contemporaneamente una svolta stilistica e un cambiamento di Dylan nel suo modo di fare musica.

Alla fine del 1975, già avvolto nell’aura del mito, Bob Dylan, aveva alle spalle una lunga scia di capolavori e gioielli, primi fa tutti i mille esperimenti col folk durante gli anni sessanta, ma il suo output creativo era ancora immenso e non lasciava pace al fuoco del suo spirito inquieto. Quando era ritornato al Greenwich Village, anche grazie ad incontri recenti e casuali, Dylan riuscì a creare un circolo di talentuosi musicisti attorno a sé. Nonostante il suo gigantesco egocentrismo, Dylan con “Desire, caso più unico che raro, concede il controllo totale e lascia le redini ad altri. Il maggior contributo viene sicuramente da Jacques Levy – colto intellettuale, studioso di psicologia e regista avanguardistica dell’Off-Off-Broadway negli anni sessanta - che riesce a imbrigliare il terremoto Dylan e collabora con lui su sette delle nove canzoni dell’album. Scarlet Rivera – che ha quasi raccolto dalla strada – con il suono del suo violino domina l’album: i sui assoli indiavolati, non solo in “Hurricane”, sono uno dei colpi di genio del disco. In più c’è Emmylou Harris, coi suoi contrappunti vocali, a sacrificarsi nel compito sicuramente non facile di stare dietro all’eccentricità della voce di Dylan, a volte riuscendo persino a catturarla e ad esserne perfetto contraltare, quasi dando alla sua crisi e al suo fascino un tocco femminile.

È proprio questa combinazione di musicisti insieme al genio musicale e letterario di Dylan a regalare al disco la sua qualità e ricchezza. Il risultato elabora una tavolozza di innocente intensità, insistenza ed eclettismo, superiori al fondamentale, ma più tormentato e introverso “Blood On The Tracks”, che, occupandosi della propria insufficienza, del dolore e della perdita della moglie Sara, aveva riportato a Dylan il rispetto dei critici e dei fans. Nel più immediato “Desire”, invece, troviamo uno spostamento verso il mistico su cui Levy con le sue conoscenze di Gustav Jung ha sicuramente una certa corresponsabilità. Dylan racconta sventure tragiche come negli epici “Hurricane” e “Joey”, un lungo sogno di undici minuti: più che la glorificazione di un mafioso, un viaggio nei lati ombrosi della gloriosa American Way of Life. Sagoma fantasie outlaw come nel surreale “Isis”, viaggio mistico nell’ignoto con il suo simbolistico immaginario esotico, che intreccia una perdita d’amore con il saccheggio di una tomba nelle piramidi, un mito egizio, il tradimento e sopratutto, ovviamente, il desiderio.

È inutile parlare di picchi in un album così: una delle grandi stelle oscure dell’album è “One More Cup Of Coffee”, tragica e geniale elegia con accenni ebraici in cui Dylan, insieme alla Harris, crea un’atmosfera d’affascinante melanconia. In “Oh, Sister”, una mistica discussione sull’amore, la morte e Dio, dall’altra parte, esprime perfettamente lo spirito vagante del disco e suona come un outtake del Dylan anni sessanta. Anche l’ultimo pezzo, “Sara”, ha nel suo dna l’aura di misticismo del disco, marcando nel contempo il disperato desiderio di riavviare la relazione con Sara. “Mozambique”, per contrasto, sembra più pura e spensierato. Il violino di Rivera e le voci di Dylan e della Harris esercitano un fascino in grado di indorare un pezzo piuttosto mediocre. Sottili influenze bluegrass trapelano attraverso lo struggente aroma latino di “Romance In Durango“ e in “Black Diamond Bay”, una lunga allucinazione surreale che narra dei visitatori freak di un albergo su un isola che sta per naufragare nel mare dopo l’eruzione di un volcano.

Alla diavoleria della musica, che sprizza un affascinante flair di vagabondo ed arcano difficilmente da imprigionare in parole, è compito arduo sottrarsi. Bob Dylan non è solo il grande padre del cantautorato folk, soprattutto di quello più letterario e colto, ma ha anche dato, col suo stile intriso di ars poetica, un contributo enorme alla cultura letteraria. L’influenza del simbolismo francese di Baudelaire e, ancor di più, del poeta maledetto Rimbaud su “Desire” è innegabile. La straordinaria connessione di musica e poesia del ribelle con l’armonica e la chitarra è stato spesso copiata ma mai eguagliata: il surreale, tortuoso viaggio mentale e sentimentale nell’architettura magica e ignota di questo disco è capace di mostrarne la statura schiudendosi appieno anche ai più accaniti miscredenti del culto dylaniano.

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Voto degli utenti: 8,7/10 in media su 31 voti.

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DonJunio (ha votato 9 questo disco) alle 1:10 del 17 marzo 2007 ha scritto:

Sfinge Scorpione in una veste di calico....

Brava nadine, non facile recensire in maniera così esaustiva l'oggetto di culto piu' esoterico di dylanofili vecchi e nuovi...sul paragone con "Blood on the tracks" hai ragione. "Desire" è certamente più eclettico, ma complessivamente mi faccio coinvolgere maggiormente dal vivido e spontaneo ( benchè allo stesso tempo ricercato) lirismo di pezzi come "simple twist of fate" e "idiot wind" che non dalle avvolgenti trame di fiddle che dominano su quest'album. "Hurricane" e " Sara" sono vette raggiunte da Young e pochissimi altri: vette, ahimé, ormai irragiungibili perché irrimediabilmente erose dal tempo, ma sempre attuali nella magia di questi dischi.

Alfo alle 13:58 del 18 marzo 2007 ha scritto:

..fulva la sera sui passi del viaggio...

Nuvole si arrovellano sulle note di questo disco... Aimhè! ricordi dolenti, lirismo eccellente, musicale vissuto... Brava Nadine: corposa!

Mboma (ha votato 10 questo disco) alle 21:39 del 23 marzo 2007 ha scritto:

like a hurricane

in effetti io nno capisco come mai "blood on the tracks" goda di fama quasi doppia, quando questo è molto più intenso, variegato e poetico...misteri della fede rock! bellissima recensione!

ozzy(d) (ha votato 9 questo disco) alle 0:19 del 24 marzo 2007 ha scritto:

e bravo bob

sontuosa recensione, album eccellente: l'unico pezzo che faccio fatica a digerire è "joey", testo bellissimo ma un po' troppo ripetitiva musicalmente.

greg ranieri alle 15:23 del 27 aprile 2007 ha scritto:

grande album, hurricane è un inizio col botto

thin man (ha votato 8 questo disco) alle 18:23 del 22 luglio 2007 ha scritto:

Il disco di maggior successo del vecchio Bob

Tornato a livelli di eccellenza e intensità con "Blood on the Tracks" Dylan pubblica il disco centrale della trilogia matura che si concluderà con l'ottimo "Street Legal". Desire è sicuramente opera più variegata rispetto alla precedente e esplica i suoi maggiori contenuti nelle due canzoni di apertura e chiusura, non riuscendo però a incidere del tutto come aveva fatto il Sangue sulle Tracce

loson (ha votato 7,5 questo disco) alle 8:08 del 28 luglio 2007 ha scritto:

Assieme a Blood On The Tracks, l'album racchiude tutto il Dylan dei '70. Semplicemente essenziale. Grandiosa anche "One More Cup Of Coffee". Recensione splendida. Complimenti Nadine!

simone coacci (ha votato 9 questo disco) alle 19:39 del 18 gennaio 2008 ha scritto:

Il merito maggiore di questo disco (e di Levy, probabilmente) è di avere dato al flusso di coscienza dylaniano, ancora gorgogliante di immagini eccelse, una cadenza drammaturgica, naturalista, appunto teatrale quando non addirittura cinematografica (pensiamo alle fughe e agli avventurosi itinerari solcati dai ribelli della Nuova Hollywood da "La rabbia giovane" e "Gangster Story" e "Easy Rider" innanzi).

La musica sembra far fatica a contenere questo immenso storyboard di parole (davvero, la presenza del violino talvolta è troppo invasiva quasi molesta)e cerca invano di riprodurne in scala l'immaginifica complessità. In questo senso, "Blood on the tracks" è più spartano, diretto e si fa prediligere. Questo senza togliere che, oggi come oggi, un disco così non te lo fa più nessuno. Ad avercene!

simone coacci (ha votato 9 questo disco) alle 19:50 del 18 gennaio 2008 ha scritto:

P.S: Nel film sprecano due enfatiche ore e mezzo di buone intenzioni per dire quello che Dylan ha racchiuso in otto strofe di cronaca poetico militante (e controinformazione lirica), l'unico veramente all'altezza è Denzel Washington. Forse la miglior intepretazione nel ruolo di un pugile, dopo Toro Scatenato/Bob De Niro. Splendida anche Nadine, ovviamente, averlo omesso nel primo post fu imperdonabile. Bacio la mano a madame.

sarah (ha votato 9 questo disco) alle 2:04 del 18 luglio 2009 ha scritto:

splendido.....

amnesia99 alle 14:05 del 7 gennaio 2010 ha scritto:

One more cup of coffee è sempre stata la mia preferita (la canto con la mia band), lasciando stare la "santa" Hurricane... gran bel disco, decisamente gitano e particolare per Dylan...

J.J.FOX (ha votato 8 questo disco) alle 23:25 del 16 dicembre 2010 ha scritto:

ho comprato anni fa questo CD per HURRICANE, poi dopo averlo ascoltato tutto mi sono innamorato. Ad oggi l'avro' ascoltato almeno 10000 volte. IMMENSO

dalvans (ha votato 8 questo disco) alle 14:36 del 23 settembre 2011 ha scritto:

Bello

Buon disco

PetoMan 2.0 evolution (ha votato 9 questo disco) alle 22:30 del 19 ottobre 2012 ha scritto:

Hurricane è la più bella canzone del mondo

glamorgan alle 19:14 del 23 luglio 2013 ha scritto:

io preferisco di un inezia blood on the tracks, però desire ha hurricane e one more coffee come punte di diamante, blood on tracks lo trovo superiore nel complesso,comunque sono grandi entrambi, ce ne fossero dei lavori così oggigiorno

glamorgan alle 19:15 del 23 luglio 2013 ha scritto:

volevo dire one more cup of coffee....

FrancescoB (ha votato 7,5 questo disco) alle 10:50 del 24 luglio 2013 ha scritto:

Un lavoro eccellente, che vanta due-tre pezzi memorabili e tanta, tanta roba buona. Quoto il vecchio commento del LOS: qui si trova il miglior Dylan del decennio, tolto "Blood on the Tracks".

Miele alle 0:37 del 18 giugno 2015 ha scritto:

Desire ha una Bellissima copertina , Bellissimi Testi , Bellissima (Grande) Musica e soprattutto : probabilmente la MIGLIORE INTERPRETAZIONE VOCALE su disco mai realizzata da Bob . Poi , potrà venire frainteso , non del tutto capito , mal digerito da certi "personaggi" , ma questo onestamente non ha nessuna importanza . Desire è , e resterà sempre , uno dei primi 10 migliori titoli di studio in assoluto di tutta la discografia di Dylan . Fate voi se amarlo , detestarlo o quant'altro .