Case Studies
The World Is Just a Shape to Fill the Night
La magia del folk è che, nonostante torni uguale a se stesso da decenni, come i demoni e le ossessioni, può comunque, fortuitamente, nellalbum che non ti aspetti, suonarti addosso come una sorpresa illuminante, e cambiarti le giornate, entrarti sottopelle. Case Studies è Jesse Lortz, ex metà dei The Dutchess and the Duke, autori negli scorsi anni di due dischi folk rock di buon livello (Shes the Dutchess, Hes the Duke, 2008; Sunrise/Sunset, 2009). Terminata lavventura con Kimberly Morrison, Lortz ha deciso di mettersi in proprio, eliminando il fattore rock: rimane losso, e rimangono i demoni privati da esorcizzare.
The World is Just a Shape to Fill the Night, che esce, per stessa ammissione della Sacred Bones, come un corpo estraneo allinterno del catalogo delletichetta di Brooklyn, è un disco di folk tradizionale macchiato di nero, evidente patrono Leonard Cohen: chitarre nude, drumming fatto solo di tamburello e grancassa, cori femminili a dialogare col tono basso di Lortz, testi di dolore e America profonda. E una scrittura da classico.
Al fingerpicking, raro (Texas Ghost Story), Lortz preferisce il turbinio di pennate piene, anche corpose e avvolte di fumo (Secrets), mentre i cori riempiono di vie di fuga ubriacanti i pochi vuoti sonori: spettacolare, ad esempio, il crescendo di The Eagle, or the Serpent, con sovrapposizioni vocali che stordiscono nella coda lanciata dal legno sodo della cassa e dal violoncello.
Il disco è stato per lo più registrato in un capanno isolato in quel di Sequim, WA: la faccenda della baracca trasformata in eremo folk è ormai trita, ma Lortz non ne fa materia di leggenda. Nei testi, anzi, emerge, accanto allAmerica arcaica e perduta, mitologia di ogni folker, anche una contemporaneità di stupidi feticci e realtà urbane. My Silver Hand, raccontando la restituzione da parte di una ex della mano dargento che Lortz le aveva regalato per farle sentire la sua vicinanza durante i periodi di allontanamento, diventa una riflessione sui residui delle storie damore («If I took back my silver hand, could we go back and start again?»), tra violino ed elegiaci lalalalalalala. Pezzo stupendo, vecchio e assieme nuovissimo. E ancora: You Folded up my Blanket Like We Were Already Lovers è un classico trionfo dellamore far from home con tamburello, contrabbasso e chitarra country, ma prende lo spunto da un incipit decisamente poco 'traditional' («You lifted up your skirt and took a piss right in the street / You shook it off your thigh and your eyes said 'I know you're watching'»).
Siamo sempre gli stessi, insomma, anche nel 2011: pure sui dolori strascicati dal piano à la Nick Cave (anni 90) in California Ghost Story, nel fischio finale di The Day We Met, nel folk noir di Dagger, nella solitudine maledetta di Texas Ghost Story («last night I tried to find my demon, he was gone [...] never in my live have I felt so alone»), nelle linee elettriche di Lies, nella melodie stonesiane di Animals (ci si sente Paint it Black).
Sempre materia per case studies. Che torna uguale da decenni, ma ogni tanto illumina. Come qua.
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